http://jaysimons.deviantart.com/art/Map-of-the-Internet-2-0-436762109


La mappa di internet di Martin Vargic di “DeviantART”: il continente orientale, il Mondo Antico, con i colossi del software, dell'hardware e dei portali d’informazione. Il Mondo Nuovo dei social network (Facebook e Twitter, etc,) e dei motori di ricerca (Google). I siti di video, blog, forum, ... Il Paese dell'«Internet Crime», l’«Oceano dei dati», il «Mare degli sviluppatori»....



Intelligere. Spesso l’etimologia di un termine rivela gran parte del suo significato. Intelligere è la parola latina che ha generato il nostro termine “intelligenza”. È un termine che ritroviamo molto simile in molte lingue europee: intelligence (uguale in inglese e francese), inteligencia, Intelligenz.
Intelligere significa “capire”, ma nello steso tempo è la composizione di altre due parole latine: “intus”, che significa dentro, e “legere”, leggere. Quindi nell'antica Roma essere intelligenti significava capire, leggere dentro alle cose, agli eventi, alle azioni, sapere interpretare. Possiamo allora affermare che ci sono persone molto intelligenti ed altre meno?  Per farlo dovremo essere in grado di capire come “funziona” l’intelligenza… anticipo la risposta: nessuno è stato ancora in grado esattamente come funziona e come si misura l’intelligenza.
Anche il famigerato QI (quoziente di intelligenza) è un parametro abbastanza relativo e non assoluto: dipende dalla cultura di chi ha ideato i test di QI e da cosa lui intendeva per intelligenza. In passato per esempio, negli Stati uniti, sia negli anni ’30 che alla fine degli anni ’60, sono emersi risultati che indicavano che mediamente il QI fosse basso nelle popolazioni di colore rispetto a quello delle popolazioni di origine europea, che a loro volta avevano un QI medio inferiore rispetto a quello delle popolazioni asiatiche. Erano risultati veritieri ed assoluti? Assolutamente no. Un semplice esempio per capirlo: se volessi leggere una rivista scritta in cinese, anche essendo molto intelligente e con un QI molto elevato, avrei probabilmente due difficoltà difficilmente superabili: dovrei sapere interpretare gli ideogrammi cinesi (i sinogrammi) e conoscere il cinese mandarino (il  dialetto più diffuso nella Repubblica Popolare Cinese). Potrei probabilmente essere particolarmente dotato nell’imparare velocemente una lingua straniera, ma senza un minimo di studio non sarei comunque in grado di leggere quella rivista, ma dovrei limitarmi ad ammirare foto ed immagini. L’intelligenza ha quindi sicuramente un  carattere innato, ma anche un carattere che si acquisisce culturalmente e che dipende dall’ambiente e dal contesto in cui mi sono formato.
Noi homo sapiens sapiens siamo una specie estremamente adattabile. Probabilmente la più adattabile tra le specie animale che abita il nostro pianeta. Se fossi cresciuto in un villaggio di pescatori, il mio cervello si sarebbe sviluppato per rendere al meglio nel mio ambiente, quindi avrei sviluppato un’ottima capacità di orientamento in mare, la capacità di riconoscere correnti e venti, una manualità elevata nel mettere l’esca all’amo e a lanciare la canna da pesca, … Nel mio villaggio potrei essere considerato estremamente intelligente perché quando ritorno con la mia barca a riva porto con me sempre una quanti di pescato considerevole: non sottoponetemi però ad un test sul quoziente di intelligenza fatto da uno psicologo o un sociologo occidentale! Probabilmente risulterei avere un QI molto basso. Se però fate venire quello scienziato nel mio villaggio senza appropriate scorte alimentari, statene sicuri, quella persona sarà assimilata allo scemo del villaggio!
La questione vera è che non esiste una intelligenza assoluta, ma esistono varie intelligenze. Già dall’esame fisiologico del nostro cervello ci si accorge che la sua parte principale, telencefalo, è suddivisa in due emisferi: l'emisfero destro controlla i movimenti e riceve le sensazioni del lato sinistro del corpo, mentre per l'altro emisfero vale il contrario. La cosa più interessante venne scoperta però durante il XX secolo. Un gruppo di scienziati, tra cui il premio nobel per la medicina Roger Sperry, hanno scoperto che ogni lato del cervello non solo presiede a specifiche funzioni, ma è dotato di una propria coscienza. L'emisfero sinistro controlla il linguaggio (cosa già nota) ed in generale le funzioni  che riguardano l'aritmetica, l'analisi, la sintesi. L’emisfero destro è invece prevalente nell’elaborare le funzioni di tipo creativo e visuo-spaziale (per esempio leggere una mappa o riconoscere un volto).
Visto che i due lati del cervello presiedono in maniera prevalente a funzioni diverse e controllano due lati diversi del nostro corpo, ciò significa che anche il modo di “leggere dentro” (ricordate l’etimologia della parla intelligenza?) il mondo dipende dalla nostra cultura, in particolare per esempio del modo in cui leggiamo. Prima dell’avvento dell’alfabeto greco, la scrittura procedeva da destra a sinistra. Con la diffusione dell’alfabeto greco prima, e quello latino che deriva dal primo poi, in tutto il mondo occidentale, è cambiato il modo di interpretare l’ambiente che ci circonda, ma anche il nostro stesso modo di pensare. Leggere da sinistra a destra, significa che i caratteri sono visti prima dall’occhio sinistro, quindi dall’emisfero destro del cervello, quello creativo, poi da quello destro, controllato dall’emisfero sinistro, quello logico-matematico. Ciò ha favorito la nascita nel mondo occidentale della logica, dell’analisi e della sintesi. Non a caso i primi grandi filosofi-scienziati della storia sono germogliati nell’antica Grecia (Platone, Aristotele, Archimede, Pitagora, …). Ciò spiega anche come il modo di interpretare il mondo sia diverso nel mondo asiatico (o meglio lo era, visto che la globalizzazione fa sempre più appiattire le differenze). In estremo oriente la lettura degli ideogrammi procede in senso verticale e non orizzontale: cosa significa questo? Il campo visivo orizzontale è molto più ampio rispetto a quello verticale, quindi in occidente si tende a far prevalere la visione di insieme delle cose, mentre in oriente si ha una maggiore attenzione ai dettagli. Questi semplici aspetti hanno influenzato l’intera cultura e di conseguenza anche il modo di essere “intelligenti”.
Raymond Cattell, uno psicologo inglese, ci parla di due tipi di intelligenza: fluida, quella che consente di affrontare e risolvere nuovi problemi, e cristallizzata, costituita dalle competenze acquisite. Daniel Goleman ha invece introdotto il concetto di  "intelligenza emotiva" negli anni 90, definendola come la conoscenza di se stessi l'empatia con gli altri, che  influenzano notevolmente la nostra vita quotidiana ma che non sono considerate  nel calcolo del QI. Infine Howard Gardner, estendendo quando indicato da Goleman individua addirittura 9 diverse manifestazioni dell’intelligenza umana: logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestetica o procedurale, interpersonale, intrapersonale, naturalistica e infine esistenziale o teoretica.
Ma se l’intelligenza è frutto sia di doti personali, in gran parte geneticamente ereditarie, sia da competenze acquisite dalla società, è corretto parlare solo di intelligenza individuale? 
Ad inizio secolo, prendendo spunto dagli studi delle scienze naturali sulle api, si cominciò ad applicare il concetto di Intelligenza Collettiva anche a noi uomini. Tra i pionieri di questa idea c’è anche Douglas Engelbart, uno dei padri dell’informatica moderna (il papà del mouse e dell’Open Source): in pratica si sostiene che l’intelligenza è un patrimonio collettivo della specie umana da cui ogni individuo può attingere, attraverso l’apprendimento o attraverso la genetica.
Oggi ci si pone un altro problema: nel continuo tentativo di capire cos’è l’intelligenza e come funziona abbiamo cercato di imitarla e ricrearla artificialmente. E’ questa quella che viene denominata Intelligenza Artificiale ed è uno dei filoni di ricerca più attuali nell’informatica e nell’elettronica. Recentemente sia Google che Facebook hanno acquisito aziende specializzate nella ricerca sull’Intelligenza Artificiale (vedi post precedente). Il loro obiettivo è quello di riuscire arrivare prima possibile a costruire pienamente il Web 3.0, il Web semantico in grado di dare significato alle nostre interazioni con internet. Il filosofo francese Pierre Lévy sostiene che il fine più elevato di Internet è proprio quello di essere di supporto all'intelligenza collettiva. Levy dice che occorre  riconoscere che l'intelligenza è distribuita dovunque c'è umanità, e che può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecnologie. Attraverso internet le persone  possono comunicare, condividere la loro conoscenza e collaborare.  E’ questo quindi il prossimo passo nell’evoluzione dell’intelligenza umana?
Volevo concludere con una personale definizione della differenza tra web 1.0, 2.0 e 3.0. Oggi comunemente si parla di web 2.0 e 3.0 quando si parla di Social Networking: Facebook, Twitter, Google+, etc. Io mi permetto di fare questa differenziazione. Il web 1.0 è quello delle origini inventato da Tim Barners Lee. E’ uno strumento di comunicazione che risente ancora del paradigma dei mass media, come TV e Radio: uno (1) tramette un contenuto e gli altri lo ricevono passivamente, quindi web 1.0. E’ una pagina web che posso scegliere di leggere o meno, così come un programma televisivo che posso scegliere di vedere o di cambiare canale. Posso fruire di quei contenuti ma non posso interagire, non posso fare niente (o quasi) per cambiarli. Il Web 2.0 sorge con le prime chat, i blog e raggiunge il suo apice con i social networking: posso interagire, scambiare messaggi. E’ una comunicazione tra me ed un’altra persona. Una comunicazione 1 a 1, ed anche quando il mio messaggio è contemporaneamente condiviso con più persone è come se instaurassi tante comunicazioni 1 a 1. I protagonisti di questa comunicazione sono quindi sempre due (2), e da qui Web 2.0. L’individuo che comunica con altri individui. Alla fine arriva il Web 3.0. E’ il web semantico, dotato di un’intelligenza propria, in grado quella che già disponibile in molte consolle di videogioco: la realtà aumentata, una realtà che si sovrappone e si sostituisce a quella materiale. La comunicazione non è solo tra 2 persone, ma tra 2 persone e la rete, una terza entità che da vita al Web 3.0. E’ in parte ciò che Derrick de Kerckhove definisce Intelligenza Connettiva sviluppando l’idea di intelligenza collettiva di Levy. In questa relazione di connessione però forse si intravede una terza entità intelligente, la Rete, … sperando che non si tratti della Skynet di Terminator o di Matrix.





Chi sono i Malthusiani e i Cornucopiani? 

Non sono uno dei popoli conosciuti da Gulliver nei suoi viaggi fantastici. Thomas Malthus era un economista inglese, vissuto a cavallo tra l'800 ed il '900. Nel 1798 pubblicò un libro che divenne piuttosto famoso: "Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società". In questo saggio sosteneva che l'aumento della popolazione procedeva a ritmo più veloce rispetto dell'aumento della capacità di produzione di generi alimentari: presto, se non si fossero adottate  adeguate politiche di contenimento dell'incremento demografico, si sarebbe arrivati prima ad un impoverimento della società e successivamente al completo declino e  scomparsa dell'umanità.
Questa sua teoria fu successivamente applicata alle fonti di energia, prima il carbone e poi il petrolio. Diede vita alla corrente filosofica del malthusianesimo che sostiene il ricorso al controllo delle nascite per impedire l'impoverimento dell'umanità. E' una filosofia "apocalittica", che influenzò autorevoli economisti del XX secolo come Keynes e Ricardo. A questi apocalittici si contrappongono i cosiddetti Cornucopians. Uno dei primi a criticare la teoria malthusiana fu  un filosofo statunitense dell'800 Ralph Emerson. Si sa, gli americani sono inguaribilmente più ottimisti di noi abitanti del "vecchio continente". Emerson sosteneva semplicemente che Malthus dimenticava di considerare nei suoi ragionamenti  le meraviglie che è in grado di creare ed inventare la mente umana.
Probabilmente nel racconto biblico della Genesi, in cui si afferma che Dio creò l'uomo a "Sua Immagine e somiglianza", si alludeva proprio a questo. Nella mente dell'uomo e della donna c'è una scintilla di divinità (e non solo nella loro mente... ma questo è un altro argomento). Il nome Cornucopians deriva da un oggetto mitologico: la cornucopia, il"corno dell'abbondanza". Il mito racconta che il corno fu perduto dal fiume Acheloo nella lotta contro Ercole per la conquista di Deianira. Ercole riuscì a sconfiggere il dio fiume e conquistare la donna che sarebbe diventata la sua sposa.
Quanti simboli in questo racconto.Ercole, l'uomo generato dal re degli dei. Anch'egli semidio, immagine e riflesso della scintilla divina. C'è il fiume. L'acqua, simbolo di vita ma anche di morte. Il battesimo cristiano, che è un rito che si ritrova anche in altre culture religiose, è un simbolo di passaggio. Passaggio dalla vita alla morte. Battesimo significa immersione: immergersi nell'acqua significa morire. Uscire dall'acqua significa ritornare alla vita. Una profezia della Resurrezione. C'è Deianira, la bellezza. C'è l'amore. Quello di Ercole per la sua futura sposa. Ma anche quella del dio fiume per una donna. Entrambi dei. Entrambi innamorati di una donna. L'amore di Dio per l'umanità. E da questa lotta si crea la cornucopia. Il corno da cui fuoriesce cibo e fiori in abbondanza. Senza fine. Per sempre. Si , non c'è dubbio.

Preferisco essere un Cornucopian.



... A presto per gli approfondimenti
http://www.corriere.it/esteri/14_marzo_16/referendum-crimea-seggi-aperti-bd0594f6-ace3-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml

Stati Uniti ed Unione Europea hanno definito illegale il referendum che si sta tenendo proprio oggi in Crimea per decidere l'annessione alla Russia della regione e di conseguenza la separazione della stessa dall'Ucraina. Non voglio assolutamente entrare nelle motivazioni (credo siano troppo complesse e al di fuori degli interessi di questo post), ma sicuramente suona strano che un referendum, al quale ha facoltà di  partecipare l'intera popolazione adulta di un paese o di una regione, possa essere definito illegale, non rispondente  alle aspettative di quelle che si definiscono istituzioni pienamente democratiche.
A livello teorico, il referendum popolare è infatti lo strumento più democratico (démos = popolo e cràtos = potere) che possa immaginarsi. Ripeto, non voglio entrare nelle ragioni politiche ed economiche della denuncia del mondo occidentale verso l'azione russa in Crimea, ma questo evento mi serve per una riflessione sui concetti di Stato-Nazione e Partecipazione Democratica. Per poterla fare parto da lontano, dalla scienza che studia i fenomeni sociali: la sociologia.
Nel 1824, nell'opera "Piano dei lavori scientifici necessari per riorganizzare la società" il filosofo francese Auguste Comte teorizzò la nascita di una nuova scienza, che più tardi chiamerà sociologia, come l'ultimo risultato di uno sviluppo di scienze, quali la biologia, la chimica, la fisica. Lui riteneva possibile che si potessero trovare delle leggi e delle regole che potessero spiegare e prevedere i fenomeni sociali, così come si potevano spiegare e prevedere i fenomeni fisici o chimici. Noi sappiamo che mescolando due composti chimici semplici ne otteniamo un terzo con caratteristiche ben definite e prevedibili. Oppure se abbiamo un corpo con una certa massa che si muove ad una certa velocità, siamo in grado di prevedere quanto spazio percorrerà. Se sappiamo da dove parte e conosciamo le caratteristiche del percorso che seguirà la sua traiettoria, possiamo prevedere dove questo oggetto arriverà.  Sono leggi fisiche e chimiche in parte note sin dagli studi degli antichi greci oltre 2.000 anni fa e perfezionati durante il corso della storia da nomi illustri, come Galileo o Newton, solo per citarne  qualcuno. Comte era convinto che qualcosa di simile fosse possibile anche per spiegare e prevedere i comportamenti dell'uomo, sia come singolo che come collettività. Oggi sappiamo che il sistema sociale è troppo complesso per potere avere leggi altrettanto efficaci e precise come quelle di cui disponiamo per la scienza fisica e/o chimica.
Il sogno di potere prevedere le prossime evoluzioni della società, e quindi della storia, e magari poterla influenzare in qualche modo per il bene collettivo, almeno si spera,  la ritroviamo in molti racconti di fantascienza (per esempio la Psicostoria raccontata da Asimov nel ciclo di romanzi delle Fondazioni e dell'Impero, che continuano e si integrano con il più famoso ciclo sui Robot). Ma cosa centra la sociologia con  lo Stato-Nazione e la partecipazione democratica? La nascita delle scienze sociali in realtà si può dire una diretta conseguenze di due novità nel panorama sociale dell'Europa tra il XVIII ed il XIX secolo: la Rivoluzione Industriale e lo sviluppo progressivo della partecipazione democratica della popolazione al governo e di conseguenza la nascita degli stati nazione. Sono infatti le rivoluzioni americana e francese che a fine '700 danno una decisiva spinta verso la fine delle forme di governo monarchiche, eredità del mondo medioevale. Questi fenomeni possono dirsi completati nell'occidente con le due grandi guerre mondiali. La prima guerra mondiale, con la sconfitta degli imperi centrali europei  (tedesco-prussiano ed austro-ungarico asburgico) ed ottomano, sancì  la definitiva nascita degli Stati-Nazione. La seconda guerra mondiale, con la caduta dei regimi totalitari in Germania ed Italia, diede una spinta fondamentale alla partecipazione democratica delle popolazioni al governo delle nazioni. La rivoluzione industriale ha invece terminato il suo ciclo di sviluppo negli anni ’70 del XX secolo e molti studiosi parlano della nostra era come di età post-industriale o post-moderna. Nella società attuale, a livello economico, politico e sociale, hanno sempre maggiore influenza organi sovra-nazionali, spesso non democraticamente eletti.
In Wikipedia il termine Stato Nazione è definito come "uno stato costituito da una comune entità culturale e/o etnica omogenea". La versione inglese dell'enciclopedia della rete aggiunge alla comunanza di entità culturale e/o etnica, il fatto di essere un'entità politica e geopolitica. Ma ha ancora senos, in un mondo sempre più connesso, multiculturale e multietnico parlare di Stato-Nazione oggi? Che conseguenze ha questo a livello locale sulla vita di ogni individuo e delle singole comunità? Che conseguenze ha la crisi del concetto di Stato-Nazione sulla partecipazione democratica dei cittadini alla vita pubblica? Sono tutti quesiti a cui è difficile dare una risposta definitiva. Sono infatti questi alcuni degli oggetti di studio della sociologia e, come detto precedentemente, la sociologia non riesce a dare risposte definitive e certe. Uno dei più grandi sociologi della storia, Max Weber, diceva a chi voleva da lui delle previsioni su come sarebbe cambiata la società di rivolgersi ai maghi e non a lui che era uno scienziato (in realtà Weber, morto nel 1920, riuscì ad intravede l'avvento dei regimi totalitari fascista e nazista che sarebbero arrivati solo qualche anno più tardi). Ciò che è importante capire è che il concetto di Stato-Nazione non è un qualcosa di preesistente  ed assoluto. E' un'invenzione molto recente, legata agli eventi storici degli ultimi due secoli, ma che non trova corrispondenza nella storia precedente. Probabilmente se si chiedesse ai padri dei nostri nonni se si sentivano italiani, o tedeschi, o francesi, già troveremmo delle reazioni piuttosto tiepide (in generale naturalmente, poi ci sono le ovvie eccezioni che riguardano quelle persone maggiormente legati ad ideologie ed ideali particolari). Andare in guerra per difendere i confini nazionali per loro rappresentava un obbligo reale e quasi per niente morale.
A tal proposito vi propongo un esempio di come la storia stessa è stata sapientemente cambiata (o meglio adattata) per inculcare un concetto che nella realtà non esisteva. Ettore Fieramosca e la disfida di Barletta. Potremmo trovare personaggi come Ettore Fieramosca nella storia di tutti i principali paesi del mondo. Ettore Fieramosca era in primo luogo un mercenario che combatteva per denaro e per il mantenimento e la conquista  dei propri possedimenti nobiliari. Nulla di sbagliato naturalmente per i suoi tempi e probabilmente aveva anche lui dei nobili ideali per cui combattere. Solo durante il periodo risorgimentale la sua figura fu trasformata in quella che conosciamo oggi di eroe della nazione e di difensore dell'italianità. Ricordo in breve la sua storia: durante le contese tra i d'Angiò, francesi, e gli Aragona, spagnoli, per il possesso del dominio sul meridione d'Italia, Ettore Fieramosca combattè per gli spagnoli (ma anche per gli italiani come vuole la tradizione risorgimentale). Durante queste contese un cavaliere francese, Charles de Torgues, detto La Motte, accusò di codardia i cavalieri italiani che combattevano per conto del nemico spagnolo. Ettore Fieramosca si erse a paladino della patria ed il 13 febbraio 1503 tredici cavalieri italiani, guidati da Fieramosca, e altrettanti cavalieri francesi, guidati da La Motte, si scontrarono a duello nella famosa Disfida di Barletta. I cavalieri italiani vinsero la sfida restituendo l'onore perduto all'Italia, divisa e dominata da diverse dinastie, per lo più straniere.  In realtà questa storia fu ricostruita abilmente dal romanzo "Ettore Fieramosca" di Massimo D'Azeglio del 1833, in pieno risorgimento italiano. A questo romanzo seguirono alcune rielaborazioni cinematografiche. La prima nel 1915, durante la Prima Guerra Mondiale, con il giovane Regno dì'Italia che stava costruendosi una propria identità nazionale e che doveva convoncere le sue truppe a combattere per il re. La seconda nel 1938 in pieno regime fascista, con protagonista Gino Cervi (io ne ricordo una terza versione degli anni '70 con protagonista il "grande" Bud Spencer).
Probabilmente il buon Fieramosca fu mosso principalmente dal proprio orgoglio personale... "Nessuno può chiamarmi codardo" diceva Marty McFly, interpretato da Michael J. Fox, in Ritorno al Futuro :-) (nella versione inglese in realtà lo appellavano spesso con "pollo" come nello spezzone del secondo episodio della saga in basso).


Per terminare: Lo Stato-Nazione è come indicato in precedenza una pura invenzione del XIX secolo. Ciò non vuol dire che sia male o sia bene. E' stato sicuramente un'istituzione importante per tutto il XIX e XX secolo. Ha portato democrazia e libertà a molte persone. E' stato anche causa di guerre per astruse pretese di governo di "pezzi" di territorio (vedi la contesa oggi tra Ucraina e Russia per la Crimea). Ciò che è invece una conquista inalienabile è la PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA delle persone alla vita pubblica e politica. E' un'aspirazione umana da sempre. Anche nelle gerarchie dei villaggi del paleolitico o delle prime città con il neolitico. Era il sogno delle poleis dell'Antica Grecia, culla della civiltà occidentale. Questa partecipazione è però oggi messa in discussione proprio nel momento in cui la tecnologia ci offre gli strumenti più potenti che siano mai esistiti per collegare le persone e connetterle in un'unica infinita ed indefinita intelligenza collettiva.

Quali impatti potrebbe avere questa decisione?

http://www.corriere.it/tecnologia/14_marzo_15/internet-stati-uniti-pronti-cedere-controllo-domini-db6aaa9c-abcd-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml


Questa che sembra essere una decisione verso una maggiore democratizzazione dell'uso della Rete, potrebbe in realtà non esserlo. Le motivazioni di una tale discussione sono per lo più di natura economica. L'ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) nata nel 1988, è un ente internazionale no-profit che ha in mano la governance di Internet. Infatti ha l'incarico di gestire gli indirizzi IP ed il sistema dei nomi a dominio di primo livello (i Top-Level Domain, per semplificare i suffissi .com, .it, .eu, .net, etc.). L'ICANN ha ereditato le sue funzioni da altri enti, come lo IANA (Internet Assigned Numbers Authority), la maggior parte dei quali dipendenti dal governo degli Stati Uniti, ma nati e gestiti secondo gli ideali dei pionieri della rete Internet.  Bisogna quindi capire la deriva che l'ente prenderà: saranno ancora privilegiati i principi fondativi della rete Internet (condivisione, collaborazione, libertà di accesso, ...)?

Le scelte che saranno prese incideranno non solo sull'aspetto meramente politico ed economico, ma più in generale sulla vita sociale di ognuno e sul suo sviluppo. La democraticità dell'uso della Rete condiziona lo sviluppo sociale, e conseguentemente economico e di conoscenza, di individui, comunità, nazioni e popoli. E' quindi una decisione che dovrà essere presa con molta saggezza, raccogliendo l'eredità ed il sogno dei padri fondatori della rete e del WWW.

"A tutti i miei contatti: Non condividete le mie foto su Facebook!". Quante volte sul vostro profilo Facebook, o su un qualsiasi altro social, vi sono arrivati messaggi in cui vi si chiedeva di "non fare" certe cose per tutelare la privacy propria o delle persone con cui si è in contatto? La sempre maggiore diffusione di internet come strumento principe per la comunicazione tra le persone, trasforma il tema della privacy in un argomento urgente ed improrogabile. Ma internet e privacy  sono conciliabili? Io credo di no... Internet e Privacy sono incompatibili, nel senso informatico di "incompatibilità". Un programma software per potere funzionare ha necessità di appoggiarsi su uno specifico sistema operativo. Un'applicazione creata per funzionare su un sistema Windows non funzionerà su un PC che utilizza Linux (a meno che non sia adeguatamente modificata o non si disponga su Linux di un emulatore di Windows). Un App creta per iPhone non funzionerà su uno smartphone che utilizza Android. Nello stesso modo la parola privacy "non gira" (come si direbbe per un programma software) sulla piattaforma internet, a meno che non si tratti di una "versione" adattata del termine privacy.  Perchè? E' il significato proprio dei due termini che li rende intrinsecamente incompatibili. Intenet è Condivisione, Collaborazione, Trasparenza. Privacy è Proprietà, Confidenzialità, Riservatezza. Se proprio non possono definirsi antinomici, Internet e Privacy stanno sicuramente sui lati opposti di un ideale quadrante che rappresenti il modo di relazionarsi delle persone.
Questa caratteristica è intrinseca nella creazione e sviluppo della RETE, come è giusto oggi definire internet.
E' noto che internet è nato in piena guerra fredda negli anni '60 negli Stati Uniti con il nome di Arpanet. Arpanet era un progetto militare  che prevedeva la creazione di una rete di comunicazioni in grado di resistere ad un attacco nucleare.... NO, NO, NO! Questa è solo la leggenda metropolitana. La (quasi) verità è che il seme da cui è germogliato internet fu in realtà piantato nell'ex Unione  Sovietica ed esattamente  il 4 ottobre 1957 in Kazakistan, quando dal cosmodromo di Baikonur fu lanciato il "Compagno di Viaggio", meglio noto con il suo nome originale in russo, Sputnik, il primo satellite artificiale in orbita intorno alla Terra. I "rossi" stavano conquistando lo spazio ed il mondo libero al di là della cortina di ferro rimaneva indietro.
In piena guerra fredda non contavano solo gli arsenali nucleari la potenza bellica, ma occorreva anche dimostrare di possedere il primato tecnologico in modo da far più "paura" ai propri avversari. Per mantenere l'equilibrio mondiale, il governo degli Stati Uniti fu preso dalla smania di riuscire a coprire il gap con l'Unione Sovietica e cominciò a distribuire finanziamenti “a pioggia” anche su progetti di ricerca non immediatamente produttivi. Nel tradizionale spirito liberale americano fu lasciato ampio spazio alla libera iniziativa, sia all'interno di aziende private che di istituzioni pubbliche.  Grazie ai capitali pubblici furono finanziati anche quei progetti sui quali  un impresa privata non avrebbe mai investito direttamente senza avere un ritorno economico immediato o a breve termine. A tal fine venne creata nel 1958 l'ARPA (Advanced Research Projects Agency), rinominata solo a partire dal 1972 DARPA, dove la D sta per Defense, ad indicare gli scopi principalmente militari delle ricerche finanziate,  da cui probabilmente nasce la leggenda di internet / Arpanet nata come rete di comunicazione per resistere ad un attacco nucleare. In realtà fino al 1972, ma anche successivamente seppure in misura minore, lo scopo dell'ARPA era quello di creare un substrato scientifico e tecnologico che consentisse di recuperare e superare il gap tecnologico creatosi alla fine degli anni '50 con l’URSS.
Tra le migliaia di progetti finanziati, uno portò nel 1969 alla nascita di Arpanet. Obiettivo principale di Arpanet era condividere le preziose risorse di calcolo dei primi elaboratori elettronici (difficilmente trasportabili e notevolmente costosi). Il primo esperimento di connessione a distanza tra calcolatori elettronici coinvolse quattro università: l'UCLA (Università della California di Los Angeles), l'UCSB (Università della California a Santa Barbara),  La Stanford Univeristy (nella contea di Santa Clara sempre in California, adiacente a Palo Alto dove oggi si estende  quella fucina di idee che è la Silicon Valley) e l' Università dello Utah. La prima forma di internet non è quindi militare, ma nasce all’interno del mondo accademico. Le caratteristiche di Arpanet, che sono state ereditate dall'attuale internet, erano: l'architettura decentrata e policefala, la commutazione di pacchetto e la compatibilità con piattaforme hardware e software diversi.
Tutti principi che hanno alla base la democratizzazione della comunicazione e la trasparenza. Lo scopo è quello di consentire al mondo, inizialmente accademico, di condividere risorse, scambiare informazioni, collaborare su progetti comuni per raggiungere in minnor tempo ed in maniera efficace e più precisa gli obiettivi ed i risultati desiderati. Decentrata e policefala significa infatti che tutti i nodi della rete possono svolgere le stesse funzioni, non esiste quindi una gerarchia prestabilita. La commutazione di pacchetto consente di suddividere l'informazione in elementi più piccoli che possono essere inviati sulla rete e che raggiungono ognuno in maniera indipendente la destinazione prefissata, dove poi saranno ricostituiti per ottenere l'informazione originaria. Questo, che può sembrare  un modo complicato per trasmettere un'informazione, consente in realtà di garantire che l'informazione arrivi sempre e comunque alla destinazione prefissata ed in maniera fedele al messaggio originario, anche in caso di  guasto su uno dei nodi della rete di comunicazione. Infine la compatibilità con tutte le piattaforme hardware e software che consente a sistemi progettati da enti ed aziende diversi di utilizzare lo stesso sistema di comunicazione, quindi di raggiungere un elevato grado di trasparenza e indipendenza dalle logiche di mercato e dagli interessi particolari.
Dal nucleo originario che comprendeva la connessione di soli 4 università, Arpanet cominciò a coprire l'intero territorio degli Stati Uniti e successivamente da rete proprietaria del governo diventa rete pubblica, assorbendo anche le reti di trasmissione dati frutto di altri progetti di ricerca (come BITnet, Compuserve, Usenet, Fidonet, etc.). Arpanet era diventata Internet e stava avvolgendo tutto il globo terrestre. Per arrivare alla Rete come strumento di comunicazione per tutti, trasformando internet nell'elettrodomestico del XXI secolo, oggetto casalingo ma anche strumento personale che ci segue dappertutto sui nostri smartphone e tablet, occorre ricordare un'ultima grande rivoluzione: la nascita del world wide web . Nel 1991 un ricercatore del CERN (l'organizzazione europea per la ricerca nucleare ), un genio dell'intuizione e dell'usabilità, Tim Berners-Lee inventa il WEB. Internet utilizzabile da tutti. La realizzazione del sogno dell'ipertesto che inizia con una generazione di studiosi di informatica, di comunicazione, di scienze sociali, come Vannevar Bush, Ted Nelson, Douglas Engelbart. Oggi il web si è ulteriormente evoluto, dai semplici primi portali www realizzati con una grafica semplice e con contenuti solo testuali si è arrivati all'ipermedia, l'ipertutto, con la nascita del web 2.0 e 3.0 che hanno creato una nuova cultura del remix e dei prosumers, dove ognuno può sentirsi protagonista della comunicazione e della creatività. Un nuovo modello di società, la network society, che ha come valore principale l'informazione e come strumento la connessione delle intelligenze tramite la RETE Internet.
Privacy. La Privacy, è qualcosa che esiste da sempre? Qualcosa di insito nell'essenza dell'uomo, o un'invenzione dell'umanità come lo è stato internet?
"Allora si aprirono gli occhi di tutti e due [Adamo ed Eva ndr] e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture."
Il capitolo 3 della Genesi sembrano indicarci che il seme del concetto di privacy sia molto antica. Ma è proprio così? La privacy di Adamo ed Eva è la stessa che intendiamo noi quando parliamo di Internet o è qualcosa di diverso?
... Bene questa però è un altra storia ed un altro post.





ASSOLUTI RELATIVI

25 Novembre, 1915. Il direttore dell'Istituto di Fisica dell'Università di Berlino, un signore di 36 anni dall'aspetto  un po' trasandato, con  capelli lunghi e baffi, su cui appaiono le grigie tracce di un precoce avvicinarsi dell'età avanzata, si reca all'Accademia Prussiana delle Scienze.
Sociologia e SemioticaL'accademia è in un austero palazzo squadrato di 3 piani del '700, nel centro di Berlino. In tutta Europa imperversa la guerra. La grande Guerra. Già  quel primo anno di battaglie presenta il suo tragico tributo di sangue e di tragedia. La guerra è però lontana dai confini tedeschi. I soldati del kaiser combattono su più fronti, ma la guerra sembra volgere a loro favore, sia sul fronte orientale nelle rapide e feroci battaglie campali, sia nella logorante guerra di trincea sul fronte occidentale.Tutto ciò sembra non interessare ad Albert Einstein, immerso ormai da 10 anni nel tentativo disperato di superare difficoltà matematiche impensabili, almeno per l'epoca. Nel 1905 aveva elaborato la teoria della Relatività Ristretta che risolvevano le contraddizioni presenti tra le equazioni di Maxwell dell'elettromagnetismo ed i principi della relatività galileiana. Questa teoria però contraddice, o meglio non si integra, con la teoria della gravitazione universale di Newton. Tutta la scienza moderna fino ad allora era stata basata proprio su questi due paradigmi: i principi della fisica meccanica galileana e la teoria della gravitazione universale di Newton. Dopo 10 lunghi anni Einstein era riuscito a risolvere le complicate equazioni che spiegano le contraddizioni con la teoria newtoniane e proprio il 25 Novembre 1915, inizia una serie di letture in cui spiega all'accademia scientifica i risultati ottenuti. 
L'anno successivo queste letture sono pubblicate con il titolo di "I fondamenti della teoria della relatività generale": Tempo e Spazio non sono più riferimenti assoluti e costanti. La variabile temporale non può più essere considerata indipendentemente dallo spazio.

Spazio e Tempo costituiscono un legame indissolubile, perdono il loro carattere ASSOLUTO e diventano RELATIVI.

Non solo i principi perdono il loro valore assoluto, ma anche i metodi. La teoria della relatività non viene sviluppata seguendo il rigoroso metodo scientifico galileano dell'osservazione, della sperimentazione e della ripetibilità del fenomeno studiato e dei risultati ottenuti. Il modello è completamente matematico: astratto ed ideale. Le prove sperimentali della teoria della Relatività generale si otterranno solo diversi anni dopo la sua pubblicazione.

Ciò che però diviene interessante è l'applicabilità della Relatività non solo alle scienze naturali, ma anche, e soprattutto, alle scienze sociali

Tutto ciò che osserviamo nello svilupparsi della società, contemporanea e non, è fatto di Assoluti Relativi. Di effetti e cause nello stesso tempo trascendenti ed immanenti, in un'apparente contraddizione ancora più evidente oggi in una società completamente discretizzata nella rappresentazione digitale di ogni possibile contenuto. Zero e Uno. On e Off. Bianco e Nero. Si e No.

Il BIT, unità base di ogni informazione e forma di comunicazione del mondo post-moderno. Il BIT che tende a diventare anche unità base di ogni forma di relazione

La digitalizzazione semplifica la rappresentazione dell'informazione, ne facilita la trasportabilità e la memorizzazione. Ma le informazioni e le relazioni reali non sono la loro forma digitale. La loro forma  digitale rimane pura rappresentazione che se pur fedele alla realtà è pur sempre un'immagine speculare di ciò che è vero. La realtà non è il virtuale. Nel virtuale ci sono tracce di realtà, ma non è realtà. La realtà è continua ed analogica. Il virtuale è discreto e digitale. Il virtuale non è il male e non è il falso, ma non è il reale. La realtà può essere falsata, ma rimane "vera" nelle sue trascendenti contraddizioni.