- Per "Umanesimo" si intende quel vasto movimento culturale che, iniziato negli ultimi decenni del Trecento e diffusosi nel Quattrocento, ha come caratteristica principale la riscoperta dell'uomo [...] un'indispensabile premessa culturale del Rinascimento, con la quale la generazione dell'età umanistica sottolinea una netta distanza tra il mondo medioevale, caratterizzato da una visione della vita, che poneva Dio al centro dell'Universo e [...] la loro visione in cui l'uomo è posto al centro dell'Universo ed è considerato artefice, padrone del proprio destino. - it.wikipedia.org.

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L'uomo al centro del pensiero dell'uomo, della sua arte, della filosofia, della scienza, della poesia. 

Inizia l'era moderna, il Rinascimento, il Razionalismo, l'Illuminismo, il Romanticismo, il Positivismo, il Post-moderno. L'attenzione dell'umanità si focalizza sull'uomo, pone l'attenzione ai suoi valori e necessità, abbandonando miti e dei. L'uomo diventa individuo unico ed irripetibile. Dio è morto dirà Nietzsche, l'uomo non ne ha ormai più bisogno nell'ultimo scorcio del secondo millennio. Non ha più bisogno del sovrasensibile, della mitologia del non razionale.
Già con il Romanticismo l'arte e la letteratura ci raccontano il disagio della società di fronte a questo nuovo stato di cose: Baudelaire,  Hugo, De Balzac, Byron, Tolstoj, Verga, ... ma l'apice si raggiunge nei primi decenni del XX secolo quando ogni conoscenza, ogni certezza sono messe in discussione. Le due guerre mondiali suggellano lo stato di confusione in cui l'umanità si viene a trovare nella più grande tragedia che la storia ricordi. Camus, Kafka, Steinbeck, Orwell, García Márquez, Faulkner, Pavese, Paosolini, ci raccontano le paure e la violenza del nuovo mondo che si sta creando, una  modernità liquida come l'ha definita Bauman. 
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Cosa ci aspetta ora alle soglie del terzo millennio? Dopo la morte di Dio si preannuncia la morte di dell'Uomo? L'Uomo sembra non essere più al centro dell'universo, al centro del suo pensiero, dell'arte, della scienza... forse, solo forse, anche della filosofia. Un nuovo dio sembra diventare il nucleo centrale della vita della società ormai globalizzata. Mentre il Dio cristiano, spazzando via definitivamente gli antichi dei, aveva posto le basi all'umanesimo e alla centralità dell'uomo, al suo essere individuo, ai suoi bisogni e valori, il nuovo dio del terzo millennio annichilisce l'umanità.

Se alla fine del XIX secolo in "Così parlò Zarathustra" Nietzsche affermava che Dio è morto, all'inizio del XXI possiamo forse dire che l'Uomo è morto?
Siamo di fronte ad un Neomedioevo il cui dio, chiesa e religione diventa l'economia, il denaro e le sue reti di comunicazione. 

L'uomo è niente di fronte all'ordine economico mondiale. E' merce  e prodotto come merce e prodotto può essere un'automobile, uno snack, un oggetto di design.

L'uomo sta diventando oggetto e non più soggetto della Storia?



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Con questo post, finalmente cerco di arrivare al sodo:

la crisi economica, l'avevamo prevista e sappiamo come andrà a finire! 

Un'idea che credo ormai sia chiara dai concetti presentati nel post precedente sul progresso tecnologico e sui cicli socio-economici della storia dell'uomo.

Ad ogni fase di Sviluppo / Crescita / Esternalità, segue, anche se non certamente, ma con grande probabilità, una fase di Stagnazione / Declino / Decadenza Sociale. 

Andiamo più nel concreto: Nel 1972, i coniugi Donella e Dennis Meadows, in collaborazione con  Jørgen Randers e William W. Behrens III, pubblicano il "Rapporto sui limiti dello sviluppo", tratto dal libro di culto The Limits to Growth (I limiti dello sviluppo). Il testo presenta una simulazione delle conseguenze della continua crescita della popolazione, dell'industrializzazione,e dello sfruttamento delle risorse del pianeta sull'ambiente e sull'uomo stesso. Le prospettive di questo studio sono propriamente malthusiane (vedi il post http://assoluti.blogspot.it/2014/03/are-you-malthusians-or-cornucopians-i.html). 
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Secondo i Meadows entro 100 anni (dal 1972) saranno raggiunti in un momento imprecisato i limiti dello sviluppo umano e si assisterà ad declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità di produzione industriale ed alimentare. C'è però una speranza. È possibile agire sui tassi di sviluppo demografico e produttivo per garantire il mantenimento di una condizione di stabilità ambientale ed economica, sostenibile per tempi più lunghi. 
Questo scritto ha fortemente influenzato la coscienza ambientalista ed ecologista nata negli anni '70, anche a livello politico ed istituzionale. Nella Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo  Brundtland  nel 1987 (conosciuta anche come Our Common Future) per la prima volta si parla di sviluppo sostenibile come sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i propri.  La definizione è stata poi ripresa sia nella conferenza di Rio che nel Trattato di Maastricht. 
Nel 1992 i Meadows e Randers hanno pubblicato un primo aggiornamento del loro lavoro del 1972, con il titiolo Beyond the Limits (Oltre i limiti), in cui hanno sostenuto che i limiti della capacità di carico del nostro pianeta erano già stati superati, a cui è seguito un secondo aggiornamento del 2004 (Limits to Growth: The 30-Year Update). Alcuni studi recenti sembrano mostrare che le previsioni del 1972 de I limiti dello sviluppo siano  state pienamente rispettate... Bè è la crisi che stiamo vivendo proprio in questi ultimi anni, iniziata con la bolla speculativa internet e, dopo una breve ripresa, continuata nel 2008 con la crisi dei subprime e del debito sovrano di molti paesi sviluppati. 
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In realtà le crisi del 2000 e del 2008, hanno radici ancor più antiche.

Alla vigilia della fine della seconda guerra mondiale, quando le sue sorti sembravano ormai segnate e decise, nel luglio 1944, si tenne la conferenza di Bretton Woods, destinata a regolare l'economia dei paesi occidentali per quasi 40 anni. 

Questi 40 anni saranno uno dei periodi più lunghi nella storia moderna dell'umanità di crescita economica e sviluppo costante, per questo motivo denominata da molti storici la Golden Age. Dagli accordi di Bretton Woods nacque il Fondo Monetario Internazionale, a cui fu affiancata la creazione della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, ma soprattutto fu creato un sistema detto di gold exchange standard, basato cioè su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro statunitense, il quale a sua volta era agganciato all'oro. Il dollaro in pratica valeva come se fosse oro, grazie alla garanzia offerta dalle enormi riserve auree degli Stati Uniti. L'economia tornava pertanto, anche nei paesi occidentali, in mano ai governi ed agli stati e quindi, idealmente, in qualche modo al popolo, invece che nelle mani delle grandi aziende e delle banche, in poche parole della finanza. Quanto questo modello fosse sostenibile è difficile da stabilire, ma certamente per 40 anni garantì una crescita costante ed il diffondersi del benessere, almeno nei paesi occidentali, grazie ad un sistema quasi basato sull'economia reale e non sulla finanza. Già alla metà degli anni '60 la grande finanza cominciò però a reagire cercando tutti quegli strumenti che gli consentissero di recuperare il controllo dell'economia mondiale, dall'internazionalizzazione spinta alla creazione di mercati e società offhore.
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Il 15 agosto 1971, il sogno finì: il presidente Richard Nixon annuncia a Camp David la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. 

In pratica, a seguito dell'enorme spesa sostenuta dal governo americano per la guerra in Vietnam, unitamente alle varie operazioni necessarie a mantenere la supremazia nella guerra fredda, il valore dei dollari circolanti aveva superato quello delle riserve auree del paese (anche se nessuno mai lo ammise). In realtà il debito americano e dei paesi occidentali aumentò anche, e soprattutto, a causa degli strumenti creati dalla grande finanza per sfuggire al controllo ed alla tassazione degli stati. Come se non bastasse, nel 1973 la guerra del Kippur tra Israele e gli stati arabi e la conseguente crisi petrolifera diede il colpo di grazia al modello nato dagli accordi di Bretton Woods, ormai superati con  lo Smithsonian Agreement di due anni prima. L'economia era tornata in mano alla finanza, e tutte le successive crisi, fino a quella di oggi, sono conseguenza e figlie di questo evento. Bene. Il libro "I limiti dello sviluppo" del 1972 dimostra concretamente che la crisi che stiamo vivendo era stata prevista oltre 40 anni fa ed abbiamo anche individuato quei puti di discontinuità che hanno portato all'attuale ciclo sodio-economico (Bretton Woods, gli Smithsonian Agreement, la guerra del Kippur, la crisi dei subprime e del debito sovrano). Rimane da capire come andrà a finire. Anche su questo tema abbiamo già le risposte: la teoria dei cicli di accumulazione di Arrighi, ma sopratutto una visione cornucopiana del mondo, ci fa sperare che la capacità umana di innovare e di reinventarsi, anche se dopo un periodo, ci auguriamo breve, di stagnazione e di declino, porterà ad una nuova fase di sviluppo e di crescita. Qualche luce si intravede già. Il mondo sta cambiando. L'era industriale è finita, stiamo vivendo una nuova era, che qualcuno chiama post-moderna. I flussi di comunicazione ed informazione guidano l'economia, la finanza, le società, le comunità e gli individui. Forse manca solo una qualche innovazione, che accompagni il nuovo modo di comunicare che caratterizza la nostra epoca. Una innovazione che forse qualcuno, in Cina o in India, chissà, ha già pensato e realizzato in qualche magazzino sperduto in una delle grandi megalopoli del nuovo mondo dei paesi emergenti... forse... Io ne sono certo!

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Avevo concluso il precedente post citando i cicli socioeconomici e le discontinuità che ne caratterizzano i cambiamenti di fase. 

L'obiettivo di questo articolo è quello di cercare di individuare punti di discontinuità che hanno caratterizzato la storia dell'uomo, cercando di preparare un'analisi su quelli più recenti. I punti di discontinuità più recente possono forse farci intravedere i cambiamenti di fase in atto e farci comprendere se è possibile fare delle previsioni su ciò che ci aspetta nel prossimo futuro.
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Prima di procedere secondo questo programma occorre però sfatare una convinzione comune: è proprio vero che il progresso tecnologico migliora la vita delle persone? Quasi. In generale si, ma non è vero in assoluto. Ragioniamo sempre per approssimazioni. Immaginiamo che un buon indicatore del benessere fisico delle persone in una data società sia l'altezza media degli individui che la compongono. Naturalmente questo indicatore ha validità se considerato nella scala globale del genere umano e non su singole popolazioni, per le quali la diversità dell'altezza media dipende da fattori molti diversi. Gli studi di paleoantropologia hanno mostrato che l'altezza media dell'uomo è diminuita leggermente nel passaggio dal paleolitico al neolitico, alla caduta dell'impero romano, nei primi anni dello sviluppo industriale tra il '600 ed il '700. Nel primo e nell'ultimo degli eventi citati questa diminuzione di altezza media, e presumibilmente di benessere fisico dell'uomo, si è verificato in corrispondenza di un'evoluzione tecnologica. Nel primo caso l'attuazione delle rivoluzione agricola, nell'ultimo della rivoluzione industriale. La diminuzione dell'altezza media si è accompagnata a segni di altre patologie, non presenti nell'era precedente. Nel caso del neolitico, le nuove attività di trasformazione del cibo e dell'artigianato, come per esempio quello di macinare il grano o di costruire cesti di vimini, sono stati causa dello svilupparsi di difetti sullo scheletro dei nostri progenitori. Sulle ginocchia, sella colonna vertebrale, sui denti. All'inizio della rivoluzione industriale, l'aumento della densità abitativa nelle città ha favorito lo sviluppo di malattie epidemiche, dalla tubercolosi alla spagnola degli anni '20 del XX secolo. Possiamo quindi affermare che che il progresso tecnologico porta sicuramente un aumento del benessere economico totale, ma questo non si distribuisce equamente ed immediatamente a tutta la popolazione ma, almeno nella fase iniziale, una parte consistente della popolazione vede il suo benessere fisico e sociale diminuire.
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Nel 1925 l'economista sovietico Nikolaj Kondratev, l'inventore della NEP (Nuova Politica Economica)   che consentì di risollevare l'economia sovietica dopo le catastrofi della prima guerra mondiale e poi abolita da Stalin,  scrisse un libro.

Il titolo era "I maggiori cicli economici ". 

In questo testo Kondratiev ipotizzava che l'economia capitalistica, e di conseguenza la sua società secondo gli schemi filosofici marxisti, evolveva secondo cicli regolari sinusoidali lunghi da 50 a 70 anni, in cui si alternavano una fase ascendente ed una discendente. Alla fase ascendente corrispondono i periodi di crescita veloce e specializzata, a quella discendente i periodi di depressione. Nel 1939 un altro economista, l'austriaco Joseph Schumpeter pubblica "Cicli Economici", in cui scompone il ciclo economico in 4 momenti: Espansione, Recessione, Depressione, Ripresa. Ognuno di questi momenti è legato alle innovazioni tecnologiche introdotte ed alla capacità di lungimiranti imprenditori di saperle utilizzare per creare nuovi mercati o espandere / rivitalizzare quelli esistenti. Così le innovazioni davvero epocali (il fuoco, l'agricoltura, le scrittura, la bussola, la macchina a vapore, il petrolio, l'elettricità, etc.) si susseguono a cicli particolarmente lunghi, di durata pari a circa 50 anni (i cicli di Kondratiev citati precedentemente). 
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Questa idea dei cicli sinusoidali porterebbe portarci a pensare che ad ogni grande discontinuità la storia ricominci daccapo, come se tutto ciò che è successo precedentemente non fosse mai accaduto. L'esperienza ci mostra che non può essere così. Alla caduta dell'impero romano si dovette assistere a grandi trasformazioni nella vita sociale delle persone. Ci fu certamente una riduzione del benessere sociale ed economico complessivo. La conoscenze acquisite precedentemente non andarono però perse. Basti pensare all'enorme opera compiuta dai monaci amanuensi che hanno consentito di fare arrivare fino a noi le opere letterarie e scientifiche greco-romane.

Questo fenomeno è stato sistematizzato e descritto nel libro "I cicli sistemici di accumulazione" del 1999 del sociologo italiano Giovanni Arrighi. 

Quindi, se stiamo vivendo un periodo di recessione e/o depressione, quel che è certo è che quando acquisito dal genere umano fino ad oggi non andrà perso e costituisce comunque  una buona base da cui ripartire per ricostruire il nostro futuro.
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Gli storici ed i sociologi individuano, considerando la sola dimensione economica, due grandi punti di discontinuità nella storia socio-economica del genere umano: la Rivoluzione Agricola e la Rivoluzione Industriale. La prima con il passaggio da una società di caccia, raccolta e pesca ad una dell'agricoltura segnò il passaggio dalla cultura paleolitica a quella neolitica. Nascono le prime città. La popolazione umana per la prima volta comincia a crescere velocemente superando ampiamente il milione di abitanti sulla terra (fino a circa il 10.000 a.C. la popolazione mondiale di uomini si misurava in decine di migliaia di "esemplari"). L'organizzazione della società diventa complessa e si crea una suddivisione dei ruoli sociali e dei lavori mai esistita precedentemente. Città, regni, imperi, scribi, soldati e sacerdoti. Con la Rivoluzione Industriale il livello di complessità aumenta ulteriormente ed in maniera esponenziale. Dal 1750 ad oggi la popolazione mondiale si moltiplica di oltre 10 volte (da 700 milioni ad oltre 7 miliardi di abitanti oggi). Aumenta a dismisura l'urbanizzazione: le persone abbandonano le campagne e vanno ad abitare in città. Nel 2009 la popolazione urbana mondiale ha superato quella rurale. Il lavoro richiede sempre più una maggiore specializzazione ed interdipendenza. Fino al XVIII secolo il lavoro si svolgeva in ambito familiare. Ogni persona era indipendente nel creare beni e prodotti. Con  l'organizzazione scientifica del lavoro nella catena di montaggio di Taylor, ogni operaio produce una parte minima del prodotto finale.  Tutto diviene estremamente standardizzato: beni, prodotti ed attività necessarie per costruirli.
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Accanto a queste due grandi discontinuità del mondo economico io ne aggiungerei altre tre che hanno caratterizzato lo sviluppo storico del genere umano. Sono tutte riconducibili alla comunicazione ed al trasporto.  Fino a soli pochi decenni fa non era corretto parlare di una unica storia del genere umano, ma sarebbe stato più corretto parlare di "storie" dell'umanità. Un  abitante dell'estremo oriente asiatico ed un europeo erano agli occhi dell'altro come degli alieni. Profili genetici praticamente identici, ma culture profondamente diverse, sviluppatesi su strade parallele durante secoli di storia di reciproco isolamento. Quando Alessandro Magno cercò di conquistare l'India i suoi soldati si rifiutarono di continuare nell'impresa. Davanti a loro trovarono eserciti che combattevano in groppa ad enormi pachidermi, in mezzo a foreste pluviali abitate da animali che facevano parte solo della loro mitologia. Persino il clima era diverso da quello da loro conosciuto in Grecia o nell'enorme impero persiano, con temporali improvvisi sospinti dai potenti venti monsonici. Analogamente quando cadde l'impero romano d'occidente nel V secolo d.C., un evento epocale per la storia occidentale, probabilmente nella Cina,  divisa tra le dinastie del Nord e del Sud dopo la caduta della dinastia Jin, nessuno seppe di quanto stava avvenendo. Quando gli europei arrivarono nel XV e XVI secolo nelle Americhe, per i nativi si trattava di semidei, con una tecnologia molto più avanzata rispetto alla loro. I poveri nativi americani non avevano neanche sviluppato gli anticorpi alle malattie portate dagli europei, che contribuirono a decimare gli abitanti degli imperi Azteco e Incas più di quanto fecero i conquistadores in battaglia. 
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Da un punto di vista della storia occidentale (europea ed americana), la prima grande discontinuità nella comunicazione e nel trasporto si ha nel primo millennio a.C. con l'invenzione della scrittura alfabetica ed il miglioramento delle tecniche di navigazione che consentirono a greci e fenici di portare la loro cultura in tutto il mediterraneo. Nel XV secolo d.C. abbiamo una seconda grande discontinuità, quella che Marshall McLuhan ha denominato la galassia Gutenberg, nel suo famoso omonimo libro del 1962, l'invenzione della stampa a caratteri mobili, in concomitanza con l'inizio della grandi esplorazioni europee, che porteranno alla scoperta ed alla colonizzazione delle Americhe (ma anche all'esplorazione dell'Asia iniziata già un secolo prima con i mercanti delle repubbliche marinare italiane, di cui Marco Polo è sicuramente il simbolo più emblematico).  Infine nel XIX secolo, l'invenzione delle comunicazioni elettriche, del telegrafo e della radio, quindi della possibilità di comunicare a distanza in tempo reale, e l'invenzione del motore a vapore prima e di quello a scoppio poi, hanno unificato la storia dell'umanità. Il pianeta terra è con questa terza fase diventato effettivamente un mondo unico e non più un mondo di mondi alieni l'uno dall'altro.

Quella che stiamo vivendo oggi potrebbe essere una quarta fase della comunicazione: quella della comunicazione digitale. 

Per potere però affermare che siamo all'alba di una nuova era manca secondo me una tecnologia del trasporto innovativa che abbia un  impatto paragonabile a quello delle fasi precedenti. Nel prossimo post su questo argomento cercherò quindi di esaminare sia la discontinuità portata dalle comunicazioni digitali e, aggiungerei, mobili,  ma anche i micro-eventi nella storia economica che si sono verificati nella storia più recente, per cercare di capire se siamo effettivamente in una nuova era post-industriale o post-moderna, o semplicemente in una sotto fase dell'era industriale.

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Un interessante studio sociologico. Le basi sono assolutamente scientifiche (empiriche si direbbe tra gli addetti ai lavori).

Sperimentalmente si dimostra come le ideologie politiche hanno un effetto ancora più "devastante" ed ampio sulle persone più intelligenti. 

A questo link trovate i dettagli

http://www.vox.com/2014/4/6/5556462/brain-dead-how-politics-makes-us-stupid

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Qualcuno aveva previsto la crisi? SI. E quando? 

Cosa ci aspetta adesso? Sappiamo già come andrà a finire? 
Non scriverò subito le risposte a queste domande. Per due motivi, probabilmente ovvi. Dare immediatamente le risposte senza un discorso logico, contraddice lo spirito di questo blog. Diventerebbe un mero atto di fede, una "religion".
Sociologia | Semiotica | LinguaggiUn atto che spiega e rassicura, ma che si basa su dogmi e discorsi di senso comune. Vorrei invece tentare di seguire un discorso quasi-scientifico, nel limite delle mie conoscenze. Il secondo motivo è insito nei modi propri della narrazione, che diventa tanto più interessante da leggere, o ascoltare, quando più questa lascia intravedere e scoprire lentamente l'esito finale del racconto. Nel precedente post, l'ira di Khun, ho scritto sui modelli di costruzione delle conoscenze scientifiche. 
http://assoluti.blogspot.it/2014/04/lira-di-kuhn-assoluti-relativi-2.html.

Ma qual'è il fine ultimo della scienza? 

Limitandoci ad un punto di vista pratico e con una serie di approssimazioni, potremo affermare che il fine della scienza è quello di creare un modello teorico dei fenomeni oggetto di studio. Questi modelli ci consentono di dominare i fenomeni e di prevedere gli esiti di una data azione su quel fenomeno. Per esempio, conoscere i modelli matematici che governano le orbite degli astri e la legge di gravità, ci ha permesso di andare sulla luna. La conoscenza delle leggi dell'aerodinamica ci ha consentito di costruire aerei ed elicotteri. Lo studio dell'elettromagnetismo ci ha permesso di potere comunicare a distanza, prima con il telegrafo, poi con la radio e così via fino ai più recenti tablet e smartphone. Fine della scienza è quindi quello di potere prevedere e quindi governare qualsiasi fenomeno. Può ciò essere applicato anche agli uomini ed alla società? Così come avviene per le leggi fisiche, chimiche e naturali, è possibile applicare gli stessi principi allo studio dell'uomo per potere prevedere le sue azioni come individuo e come collettività? 
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Questa idea di scienza, di cui ritroviamo tracce anche nell'antichità, ha cominciato a svilupparsi in maniera sistematica nel XIX secolo. E' in questo secolo che troviamo infatti l'origine razionale delle scienze sociali e psicologiche, che hanno come oggetto proprio lo studio dell'uomo. Non dal solo punto di vista fisiologico. Di ciò si occupano da migliaia di anni le varie branchie della medicina, che affondano le loro radici nelle pratiche dello sciamanesimo prima e del religioso poi. Ma dal punto di vista dei comportamenti, individuali e collettivi, e di come questi incidono sulle diverse dimensioni che interessano la vita dell'uomo:

la dimensione economica, politico-sociale, culturale ed ecologica-spaziale. 

Perchè proprio nel XIX secolo? L'800 è secolo in cui iniziano a realizzarsi due grandi novità nella vita sociale dell'uomo, che avevano avuto origine nel secolo precedente e vedranno la loro piena realizzazione nel XX secolo:

la Rivoluzione Industriale e la nascita della democrazia rappresentativa e partecipata, con la Rivoluzione Francese. 

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Entrambi rappresentano una grande conquista dell'umanità, ma introducono una problematica che nelle epoche precedenti era trascurabile. L'INCERTEZZA. 

Una grande, irrisolvibile incertezza. Perchè? I due fenomeni, l'uno di natura prettamente economica e l'altro di natura politica, entrambi con risvolti sociali e culturali clamorosi, possono cinicamente essere assimilati a due forme diverse di mercato. Da una parte il mercato di beni e servizi, sempre più standardizzati, e dall'altra il mercato del consenso, anch'esso con forme standardizzate e formalizzabili. Entrambi rivolti ad un pubblico di massa. Un pubblico sempre più numeroso, del quale diviene impossibile riuscire a capire gli orientamenti. L'individuo tal dei tali comprerà il prodotto commercializzato dalla mia compagnia? L'individuo tal dei tali voterà il mio partito? Nasce così l'esigenza di prevedere il comportamento umano, gli orientamenti generali, sia dal punto di vista economico che da quello politico. Serve una scienza in grado di studiare, analizzare, comprendere e prevedere i comportamenti sociali. Tra il 1830 e 1842 il filosofo francese Auguste Comte scrisse l'opera Corso di filosofia positiva, in cui per primo utilizzò il termine di sociologia. Comte era convinto che questa nuova scienza avrebbe consentito di portare l'umanità ad uno stato di benessere mai avuto prima, individuando leggi e regole in grado di governare i processi di natura sociale, con le stesse modalità adoperate per le scienze esatte e naturali (non a caso il filosofo avrebbe voluto chiamare questa scienza "fisica sociale" ma il termine era già stato utilizzato qualche anno prima dallo statistico belga Adolphe Quetelet). 
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Questa idea deterministica dello studio della società caratterizzò tutto il positivismo fino ai primi anni del XX secolo. Il paradigma scientifico del positivismo era fondato sulla convinzione che l'umanità fosse destinata ad uno sviluppo tecnologico, e di conseguenza sociale ed economico, continuo e lineare verso un miglioramento costante delle condizioni di vita dell'uomo. Gli eventi del 1915-1918, la Grande guerra, segnò la fine del sogno dei positivisti. Questo tragico evento fece ritornare in auge l’idea di una concezione ciclica della storia socio-economica e del progresso, che affonda le sue radici nel modo di concepire il tempo della civiltà greco-romana. Siamo quindi arrivati al concetto di CRISI ECONOMICA, di cui tanto si parla ormai da qualche anno. Se guardiamo alla storia in ottica di benessere sociale, in termini di salute fisica e psichica degli individui, e di benessere materiale, in termini puramente economici globali, molti studi hanno portato a definire lo sviluppo economico-sociale secondo una serie di fasi che si ripetono ciclicamente.
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La prima fase è quello dello SVILUPPO: ad una piccola crescita dello sviluppo economico, corrisponde una crescita molto più ampia del benessere sociale. E’ ciò che avviene quando per esempio una nuova tecnologia diventa di uso comune e migliora sensibilmente la vita delle persone. Alla fase dello sviluppo segue la fese della CRESCITA: al crescere del benessere economico cresce anche quello sociale, ma sempre di meno. In termini pratici per migliorare il benessere sociale delle persone occorre sempre una crescita maggiore del benessere economico. Ad un certo punto questo sforzo di crescita economica non corrisponde più ad un aumento del benessere sociale. Il benessere economico continua a crescere, ma quello sociale diminuisce. Questa è la fase dell’ESTERNALITA’ ed è probabilmente quella che stiamo vivendo in questo periodo a livello globale. Cosa succederà ora? Ci sono diverse possibilità. Dipende dalla visione del mondo che si ha, se da Malthusian o Cornucopian.
E’ possibile che si riesca ad invertire la tendenza. Per esempio con la diffusione di una nuova tecnologia che impatta sia sugli aspetti economici che sociali. In questo caso si ritornerà alla fase dello sviluppo ed inizierà un nuovo ciclo socio-economico. 
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Potrebbe invece succedere il contrario. Se a piccoli avanzamenti di benessere economico corrisponde una grande diminuzione del benessere sociale, si passa alla fase detta di DECADENZA SOCIALE. Se invece diminuisce anche il benessere economico, ma questa diminuzione corrisponde una piccola diminuzione del benessere sociale, si ha allora la fase detta di STAGNAZIONE (che è quella che si sta vivendo già in alcuni paesi dell’occidente, vedi Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna, Danimarca). La fase del DECLINO si raggiunge quando benessere economico e benessere sociale diminuiscono con la stessa velocità. Quando invece ad una piccola diminuzione del benessere economico corrisponde una grande diminuzione del benessere sociale si è nella fase detta del BREAKDOWN.
Per capire cosa ci aspetta occorre comprendere la natura dei cicli socio-economici. In ogni ciclo si ricomincia daccapo o qualcosa del precedente ciclo rimane? Quando avvengono le variazioni di fase? La prima guerra mondiale, a cui abbiamo accennato prima, potrebbe rappresentare appunto una discontinuità che caratterizza un cambiamento di fase nel contesto socio-economico. Possiamo individuare altri punti di discontinuità nella storia? …

E soprattutto abbiamo vissuto nella nostra storia recente dei punti di discontinuità che giustifichino l’attuale stato di crisi?

Cercherò di analizzare queste domande nella seconda parte di questo post.

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8 settembre 1966: gli spettatori della ABC negli Stati Uniti possono guardare la prima puntata di quella che diventerà una delle serie televisive cult del genere fantascientifico. Il titolo di questa prima puntata nella traduzione italiana è "Oltre la galassia". Probabilmente però il titolo originale "Where No Man Has Gone Before",   fa subito capire che sto parlando delle avventure del capitano Kirk e dell'equipaggio della nave stellare Enterprise della Federazione Unita dei Pianeti. Star Trek, non da subito, ma come un buon vino che matura e diventa più pregiato con il tempo, diventa negli anni un prodotto cross-mediale di enorme successo: 5 serie televisive, 12 film, una serie animata, romanzi, giochi e videogiochi, serie audiovisive amatoriali, racconti e produzioni fandom, prodotti vari di merchandising. 

Il secondo dei film prodotto per le sale cinematografiche è secondo me uno dei più riusciti: "Star Trek II - L'ira di Khan". 

In questo film Kirk e Spock devono affrontare il temibile e malvagio  Khan Noonien Singh, un super-umano geneticamente modificato.  Un nemico spietato e pericoloso che per essere sconfitto richiede l'estremo sacrificio di uno degli eroi principali della serie: il signor Spock! Ma davvero Spock, protagonista quasi quanto il capitano James Tberius Kirk della saga, poteva morire?
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Be' come ho scritto  nel primo post di questo blog, la verità non è mai assoluta (a meno che non ci spingiamo al di là della sfera umana e materiale). 


Infatti "Star Trek III: Alla ricerca di Spock" ci rivelerà un'altra "verità" rispetto a quella che concludeva il film precedente. A rimarcare il concetto dell'inesistenza delle verità assolute (o per essere in tema la probabile inesistenza o estrema rarità della verità assoluta), oltre ad Einstein ed alla sua teoria della relatività generale, c'è un altro signore.

Si chiamava Thomas Samuel Kuhn (ha qualche assonanza con Khan, da cui la lunga premessa ed il titolo di questo post). 

Nel 1962, pochi anni prima del debutto di Star Trek, scrisse un libro,  "La struttura delle rivoluzioni scientifiche", che trasformò il modo di concepire la scienza. 

Non possiamo parlare di una vera e  propria "ira di Kuhn", ma di una sana e decisa vena polemica certamente si.
L'oggetto delle sue critiche era la definizione del concetto di conoscenza scientifica in voga ai suoi tempi e sostenuta dal positivismo logico e da uno dei più noti filosofi del XX secolo, Karl Popper. 
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Il positivismo logico ritiene che la conoscenza scientifica debba rientrare nel dominio dei sensi dell'uomo, quindi essere provata con l’osservazione e la sperimentazione (essere empirica). Inoltre deve essere decidibile, quindi  basarsi su una serie di enunciati che possano essere giudicati in veri o falsi. Qualunque fenomeno, enunciato, ipotesi, teoria, fatto, o è vero, assolutamente vero, o non  è vero. Basandosi anche su questa concezione, Karl Popper sosteneva la possibilità oggettiva di approdare alla verità. Nello stesso tempo però Popper affermava anche che non si ha mai la consapevolezza soggettiva di possedere la verità. Ritornando al nostra amico Albert Einstein, Popper diceva che la relatività potrebbe effettivamente essere vera, corrispondere alla realtà, ma tuttavia non è possibile averne mai un'umana certezza. 

Kuhn va oltre. Secondo lui è il consenso di coloro che operano dentro una data disciplina scientifica che determina l'accettazione o meno di una conoscenza scientifica come "vera". 

Non esiste una scienza univocaca come insieme di conoscenze che conducono ad una verità assoluta, ma ci sono "scienze" diverse, conoscenze, che si alternano lungo la storia in base a quello che lui definisce "il paradigma" accettato in un determinato periodo storico ed all'interno di una certa cultura. La scienza diventa pertanto un fatto "sociale", o almeno anche sociale, determinato dalla specifica società che la produce. Per paradigma Kuhn intende l'insieme di teorie, leggi, tecniche e strumenti accettati all'interno di una determinata tradizione scientifica.  
Sociologia | Semiotica | LinguaggiUn paio di esempi. Quando nel '500 Copernico dimostrò matematicamente che era la terra a girare intorno al sole e non il contrario, venne a rompere il paradigma precedente, per quanto riguarda l'astronomia, dello geocentrismo. Fino ad allora, e per circa un secolo ancora, in Europa si riteneva verità addirittura di fede il fatto che fosse il sole e gli altri astri a girare intorno alla terra (ne sa qualcosa Galileo). Nello stesso modo all'inizio del XX secolo Albert Einstein risolve le contraddizioni presenti tra le equazioni di Maxwell dell'elettromagnetismo e la relatività galileiana, dando origini alla teoria della relatività ristretta a cui succederà poi la relatività generale, rompendo un altro paradigma. Kuhn ipotizza che tutta l'evoluzione del progresso scientifico è caratterizzata da un andamento lineare con delle discontinuità in corrispondenza dei cambi di paradigma. Descrive quindi questo processo attraverso una serie di fasi che si ripetono ciclicamente. La Fase 0 è il periodo pre-paradigmatico, caratterizzato dall'esistenza di molte scuole differenti in competizione tra loro senza un sistema di principi condivisi. La Fase 1 è l'accettazione di un paradigma. La Fase 2 è quella che lui chiama della scienza normale, in cui il paradigma è formalmente accettato da tutta la comunità scientifica. In questo periodo gli scienziati sono visti come risolutori di rebus, cercando di ci rendere coerente il paradigma con l'oggetto della loro ricerca, la realtà. La Fase 3 è quella in cui si cominciano a riscontrare delle anomalie nel paradigma accettato. Lo studio matematico e sistematico delle orbite degli astri da parte di Copernico non si sposava nel '500 con la teoria geocentrica allora ritenuta come verità assoluta. Le equazioni di Maxwell, che spiegavano perfettamente già nel XIX secolo i fenomeni elettromagnetici e la loro natura ondulatoria non si sposavano con le leggi della meccanica definite da Galileo ed alla base di tutta la fisica moderna. Quando il fallimento diventa evidente il paradigma viene messo in dubbio dando vita alla Fase 4, la crisi del paradigma.

Cominciano a nascere nuovi e diversi paradigmi. Si entra così nella Fase 5, quella della rivoluzione scientifica che porterà ad un nuovo paradigma e quindi a nuove verità. Si riparte  quindi "all'esplorazione di strani e nuovi mondi ... là dove nessun uomo è mai giunto prima" :-)

"Spazio, ultima frontiera. Eccovi i viaggi dell'astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all'esplorazione di strani nuovi mondi alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima.







http://jaysimons.deviantart.com/art/Map-of-the-Internet-2-0-436762109


La mappa di internet di Martin Vargic di “DeviantART”: il continente orientale, il Mondo Antico, con i colossi del software, dell'hardware e dei portali d’informazione. Il Mondo Nuovo dei social network (Facebook e Twitter, etc,) e dei motori di ricerca (Google). I siti di video, blog, forum, ... Il Paese dell'«Internet Crime», l’«Oceano dei dati», il «Mare degli sviluppatori»....



Intelligere. Spesso l’etimologia di un termine rivela gran parte del suo significato. Intelligere è la parola latina che ha generato il nostro termine “intelligenza”. È un termine che ritroviamo molto simile in molte lingue europee: intelligence (uguale in inglese e francese), inteligencia, Intelligenz.
Intelligere significa “capire”, ma nello steso tempo è la composizione di altre due parole latine: “intus”, che significa dentro, e “legere”, leggere. Quindi nell'antica Roma essere intelligenti significava capire, leggere dentro alle cose, agli eventi, alle azioni, sapere interpretare. Possiamo allora affermare che ci sono persone molto intelligenti ed altre meno?  Per farlo dovremo essere in grado di capire come “funziona” l’intelligenza… anticipo la risposta: nessuno è stato ancora in grado esattamente come funziona e come si misura l’intelligenza.
Anche il famigerato QI (quoziente di intelligenza) è un parametro abbastanza relativo e non assoluto: dipende dalla cultura di chi ha ideato i test di QI e da cosa lui intendeva per intelligenza. In passato per esempio, negli Stati uniti, sia negli anni ’30 che alla fine degli anni ’60, sono emersi risultati che indicavano che mediamente il QI fosse basso nelle popolazioni di colore rispetto a quello delle popolazioni di origine europea, che a loro volta avevano un QI medio inferiore rispetto a quello delle popolazioni asiatiche. Erano risultati veritieri ed assoluti? Assolutamente no. Un semplice esempio per capirlo: se volessi leggere una rivista scritta in cinese, anche essendo molto intelligente e con un QI molto elevato, avrei probabilmente due difficoltà difficilmente superabili: dovrei sapere interpretare gli ideogrammi cinesi (i sinogrammi) e conoscere il cinese mandarino (il  dialetto più diffuso nella Repubblica Popolare Cinese). Potrei probabilmente essere particolarmente dotato nell’imparare velocemente una lingua straniera, ma senza un minimo di studio non sarei comunque in grado di leggere quella rivista, ma dovrei limitarmi ad ammirare foto ed immagini. L’intelligenza ha quindi sicuramente un  carattere innato, ma anche un carattere che si acquisisce culturalmente e che dipende dall’ambiente e dal contesto in cui mi sono formato.
Noi homo sapiens sapiens siamo una specie estremamente adattabile. Probabilmente la più adattabile tra le specie animale che abita il nostro pianeta. Se fossi cresciuto in un villaggio di pescatori, il mio cervello si sarebbe sviluppato per rendere al meglio nel mio ambiente, quindi avrei sviluppato un’ottima capacità di orientamento in mare, la capacità di riconoscere correnti e venti, una manualità elevata nel mettere l’esca all’amo e a lanciare la canna da pesca, … Nel mio villaggio potrei essere considerato estremamente intelligente perché quando ritorno con la mia barca a riva porto con me sempre una quanti di pescato considerevole: non sottoponetemi però ad un test sul quoziente di intelligenza fatto da uno psicologo o un sociologo occidentale! Probabilmente risulterei avere un QI molto basso. Se però fate venire quello scienziato nel mio villaggio senza appropriate scorte alimentari, statene sicuri, quella persona sarà assimilata allo scemo del villaggio!
La questione vera è che non esiste una intelligenza assoluta, ma esistono varie intelligenze. Già dall’esame fisiologico del nostro cervello ci si accorge che la sua parte principale, telencefalo, è suddivisa in due emisferi: l'emisfero destro controlla i movimenti e riceve le sensazioni del lato sinistro del corpo, mentre per l'altro emisfero vale il contrario. La cosa più interessante venne scoperta però durante il XX secolo. Un gruppo di scienziati, tra cui il premio nobel per la medicina Roger Sperry, hanno scoperto che ogni lato del cervello non solo presiede a specifiche funzioni, ma è dotato di una propria coscienza. L'emisfero sinistro controlla il linguaggio (cosa già nota) ed in generale le funzioni  che riguardano l'aritmetica, l'analisi, la sintesi. L’emisfero destro è invece prevalente nell’elaborare le funzioni di tipo creativo e visuo-spaziale (per esempio leggere una mappa o riconoscere un volto).
Visto che i due lati del cervello presiedono in maniera prevalente a funzioni diverse e controllano due lati diversi del nostro corpo, ciò significa che anche il modo di “leggere dentro” (ricordate l’etimologia della parla intelligenza?) il mondo dipende dalla nostra cultura, in particolare per esempio del modo in cui leggiamo. Prima dell’avvento dell’alfabeto greco, la scrittura procedeva da destra a sinistra. Con la diffusione dell’alfabeto greco prima, e quello latino che deriva dal primo poi, in tutto il mondo occidentale, è cambiato il modo di interpretare l’ambiente che ci circonda, ma anche il nostro stesso modo di pensare. Leggere da sinistra a destra, significa che i caratteri sono visti prima dall’occhio sinistro, quindi dall’emisfero destro del cervello, quello creativo, poi da quello destro, controllato dall’emisfero sinistro, quello logico-matematico. Ciò ha favorito la nascita nel mondo occidentale della logica, dell’analisi e della sintesi. Non a caso i primi grandi filosofi-scienziati della storia sono germogliati nell’antica Grecia (Platone, Aristotele, Archimede, Pitagora, …). Ciò spiega anche come il modo di interpretare il mondo sia diverso nel mondo asiatico (o meglio lo era, visto che la globalizzazione fa sempre più appiattire le differenze). In estremo oriente la lettura degli ideogrammi procede in senso verticale e non orizzontale: cosa significa questo? Il campo visivo orizzontale è molto più ampio rispetto a quello verticale, quindi in occidente si tende a far prevalere la visione di insieme delle cose, mentre in oriente si ha una maggiore attenzione ai dettagli. Questi semplici aspetti hanno influenzato l’intera cultura e di conseguenza anche il modo di essere “intelligenti”.
Raymond Cattell, uno psicologo inglese, ci parla di due tipi di intelligenza: fluida, quella che consente di affrontare e risolvere nuovi problemi, e cristallizzata, costituita dalle competenze acquisite. Daniel Goleman ha invece introdotto il concetto di  "intelligenza emotiva" negli anni 90, definendola come la conoscenza di se stessi l'empatia con gli altri, che  influenzano notevolmente la nostra vita quotidiana ma che non sono considerate  nel calcolo del QI. Infine Howard Gardner, estendendo quando indicato da Goleman individua addirittura 9 diverse manifestazioni dell’intelligenza umana: logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestetica o procedurale, interpersonale, intrapersonale, naturalistica e infine esistenziale o teoretica.
Ma se l’intelligenza è frutto sia di doti personali, in gran parte geneticamente ereditarie, sia da competenze acquisite dalla società, è corretto parlare solo di intelligenza individuale? 
Ad inizio secolo, prendendo spunto dagli studi delle scienze naturali sulle api, si cominciò ad applicare il concetto di Intelligenza Collettiva anche a noi uomini. Tra i pionieri di questa idea c’è anche Douglas Engelbart, uno dei padri dell’informatica moderna (il papà del mouse e dell’Open Source): in pratica si sostiene che l’intelligenza è un patrimonio collettivo della specie umana da cui ogni individuo può attingere, attraverso l’apprendimento o attraverso la genetica.
Oggi ci si pone un altro problema: nel continuo tentativo di capire cos’è l’intelligenza e come funziona abbiamo cercato di imitarla e ricrearla artificialmente. E’ questa quella che viene denominata Intelligenza Artificiale ed è uno dei filoni di ricerca più attuali nell’informatica e nell’elettronica. Recentemente sia Google che Facebook hanno acquisito aziende specializzate nella ricerca sull’Intelligenza Artificiale (vedi post precedente). Il loro obiettivo è quello di riuscire arrivare prima possibile a costruire pienamente il Web 3.0, il Web semantico in grado di dare significato alle nostre interazioni con internet. Il filosofo francese Pierre Lévy sostiene che il fine più elevato di Internet è proprio quello di essere di supporto all'intelligenza collettiva. Levy dice che occorre  riconoscere che l'intelligenza è distribuita dovunque c'è umanità, e che può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecnologie. Attraverso internet le persone  possono comunicare, condividere la loro conoscenza e collaborare.  E’ questo quindi il prossimo passo nell’evoluzione dell’intelligenza umana?
Volevo concludere con una personale definizione della differenza tra web 1.0, 2.0 e 3.0. Oggi comunemente si parla di web 2.0 e 3.0 quando si parla di Social Networking: Facebook, Twitter, Google+, etc. Io mi permetto di fare questa differenziazione. Il web 1.0 è quello delle origini inventato da Tim Barners Lee. E’ uno strumento di comunicazione che risente ancora del paradigma dei mass media, come TV e Radio: uno (1) tramette un contenuto e gli altri lo ricevono passivamente, quindi web 1.0. E’ una pagina web che posso scegliere di leggere o meno, così come un programma televisivo che posso scegliere di vedere o di cambiare canale. Posso fruire di quei contenuti ma non posso interagire, non posso fare niente (o quasi) per cambiarli. Il Web 2.0 sorge con le prime chat, i blog e raggiunge il suo apice con i social networking: posso interagire, scambiare messaggi. E’ una comunicazione tra me ed un’altra persona. Una comunicazione 1 a 1, ed anche quando il mio messaggio è contemporaneamente condiviso con più persone è come se instaurassi tante comunicazioni 1 a 1. I protagonisti di questa comunicazione sono quindi sempre due (2), e da qui Web 2.0. L’individuo che comunica con altri individui. Alla fine arriva il Web 3.0. E’ il web semantico, dotato di un’intelligenza propria, in grado quella che già disponibile in molte consolle di videogioco: la realtà aumentata, una realtà che si sovrappone e si sostituisce a quella materiale. La comunicazione non è solo tra 2 persone, ma tra 2 persone e la rete, una terza entità che da vita al Web 3.0. E’ in parte ciò che Derrick de Kerckhove definisce Intelligenza Connettiva sviluppando l’idea di intelligenza collettiva di Levy. In questa relazione di connessione però forse si intravede una terza entità intelligente, la Rete, … sperando che non si tratti della Skynet di Terminator o di Matrix.





Chi sono i Malthusiani e i Cornucopiani? 

Non sono uno dei popoli conosciuti da Gulliver nei suoi viaggi fantastici. Thomas Malthus era un economista inglese, vissuto a cavallo tra l'800 ed il '900. Nel 1798 pubblicò un libro che divenne piuttosto famoso: "Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società". In questo saggio sosteneva che l'aumento della popolazione procedeva a ritmo più veloce rispetto dell'aumento della capacità di produzione di generi alimentari: presto, se non si fossero adottate  adeguate politiche di contenimento dell'incremento demografico, si sarebbe arrivati prima ad un impoverimento della società e successivamente al completo declino e  scomparsa dell'umanità.
Questa sua teoria fu successivamente applicata alle fonti di energia, prima il carbone e poi il petrolio. Diede vita alla corrente filosofica del malthusianesimo che sostiene il ricorso al controllo delle nascite per impedire l'impoverimento dell'umanità. E' una filosofia "apocalittica", che influenzò autorevoli economisti del XX secolo come Keynes e Ricardo. A questi apocalittici si contrappongono i cosiddetti Cornucopians. Uno dei primi a criticare la teoria malthusiana fu  un filosofo statunitense dell'800 Ralph Emerson. Si sa, gli americani sono inguaribilmente più ottimisti di noi abitanti del "vecchio continente". Emerson sosteneva semplicemente che Malthus dimenticava di considerare nei suoi ragionamenti  le meraviglie che è in grado di creare ed inventare la mente umana.
Probabilmente nel racconto biblico della Genesi, in cui si afferma che Dio creò l'uomo a "Sua Immagine e somiglianza", si alludeva proprio a questo. Nella mente dell'uomo e della donna c'è una scintilla di divinità (e non solo nella loro mente... ma questo è un altro argomento). Il nome Cornucopians deriva da un oggetto mitologico: la cornucopia, il"corno dell'abbondanza". Il mito racconta che il corno fu perduto dal fiume Acheloo nella lotta contro Ercole per la conquista di Deianira. Ercole riuscì a sconfiggere il dio fiume e conquistare la donna che sarebbe diventata la sua sposa.
Quanti simboli in questo racconto.Ercole, l'uomo generato dal re degli dei. Anch'egli semidio, immagine e riflesso della scintilla divina. C'è il fiume. L'acqua, simbolo di vita ma anche di morte. Il battesimo cristiano, che è un rito che si ritrova anche in altre culture religiose, è un simbolo di passaggio. Passaggio dalla vita alla morte. Battesimo significa immersione: immergersi nell'acqua significa morire. Uscire dall'acqua significa ritornare alla vita. Una profezia della Resurrezione. C'è Deianira, la bellezza. C'è l'amore. Quello di Ercole per la sua futura sposa. Ma anche quella del dio fiume per una donna. Entrambi dei. Entrambi innamorati di una donna. L'amore di Dio per l'umanità. E da questa lotta si crea la cornucopia. Il corno da cui fuoriesce cibo e fiori in abbondanza. Senza fine. Per sempre. Si , non c'è dubbio.

Preferisco essere un Cornucopian.



... A presto per gli approfondimenti
http://www.corriere.it/esteri/14_marzo_16/referendum-crimea-seggi-aperti-bd0594f6-ace3-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml

Stati Uniti ed Unione Europea hanno definito illegale il referendum che si sta tenendo proprio oggi in Crimea per decidere l'annessione alla Russia della regione e di conseguenza la separazione della stessa dall'Ucraina. Non voglio assolutamente entrare nelle motivazioni (credo siano troppo complesse e al di fuori degli interessi di questo post), ma sicuramente suona strano che un referendum, al quale ha facoltà di  partecipare l'intera popolazione adulta di un paese o di una regione, possa essere definito illegale, non rispondente  alle aspettative di quelle che si definiscono istituzioni pienamente democratiche.
A livello teorico, il referendum popolare è infatti lo strumento più democratico (démos = popolo e cràtos = potere) che possa immaginarsi. Ripeto, non voglio entrare nelle ragioni politiche ed economiche della denuncia del mondo occidentale verso l'azione russa in Crimea, ma questo evento mi serve per una riflessione sui concetti di Stato-Nazione e Partecipazione Democratica. Per poterla fare parto da lontano, dalla scienza che studia i fenomeni sociali: la sociologia.
Nel 1824, nell'opera "Piano dei lavori scientifici necessari per riorganizzare la società" il filosofo francese Auguste Comte teorizzò la nascita di una nuova scienza, che più tardi chiamerà sociologia, come l'ultimo risultato di uno sviluppo di scienze, quali la biologia, la chimica, la fisica. Lui riteneva possibile che si potessero trovare delle leggi e delle regole che potessero spiegare e prevedere i fenomeni sociali, così come si potevano spiegare e prevedere i fenomeni fisici o chimici. Noi sappiamo che mescolando due composti chimici semplici ne otteniamo un terzo con caratteristiche ben definite e prevedibili. Oppure se abbiamo un corpo con una certa massa che si muove ad una certa velocità, siamo in grado di prevedere quanto spazio percorrerà. Se sappiamo da dove parte e conosciamo le caratteristiche del percorso che seguirà la sua traiettoria, possiamo prevedere dove questo oggetto arriverà.  Sono leggi fisiche e chimiche in parte note sin dagli studi degli antichi greci oltre 2.000 anni fa e perfezionati durante il corso della storia da nomi illustri, come Galileo o Newton, solo per citarne  qualcuno. Comte era convinto che qualcosa di simile fosse possibile anche per spiegare e prevedere i comportamenti dell'uomo, sia come singolo che come collettività. Oggi sappiamo che il sistema sociale è troppo complesso per potere avere leggi altrettanto efficaci e precise come quelle di cui disponiamo per la scienza fisica e/o chimica.
Il sogno di potere prevedere le prossime evoluzioni della società, e quindi della storia, e magari poterla influenzare in qualche modo per il bene collettivo, almeno si spera,  la ritroviamo in molti racconti di fantascienza (per esempio la Psicostoria raccontata da Asimov nel ciclo di romanzi delle Fondazioni e dell'Impero, che continuano e si integrano con il più famoso ciclo sui Robot). Ma cosa centra la sociologia con  lo Stato-Nazione e la partecipazione democratica? La nascita delle scienze sociali in realtà si può dire una diretta conseguenze di due novità nel panorama sociale dell'Europa tra il XVIII ed il XIX secolo: la Rivoluzione Industriale e lo sviluppo progressivo della partecipazione democratica della popolazione al governo e di conseguenza la nascita degli stati nazione. Sono infatti le rivoluzioni americana e francese che a fine '700 danno una decisiva spinta verso la fine delle forme di governo monarchiche, eredità del mondo medioevale. Questi fenomeni possono dirsi completati nell'occidente con le due grandi guerre mondiali. La prima guerra mondiale, con la sconfitta degli imperi centrali europei  (tedesco-prussiano ed austro-ungarico asburgico) ed ottomano, sancì  la definitiva nascita degli Stati-Nazione. La seconda guerra mondiale, con la caduta dei regimi totalitari in Germania ed Italia, diede una spinta fondamentale alla partecipazione democratica delle popolazioni al governo delle nazioni. La rivoluzione industriale ha invece terminato il suo ciclo di sviluppo negli anni ’70 del XX secolo e molti studiosi parlano della nostra era come di età post-industriale o post-moderna. Nella società attuale, a livello economico, politico e sociale, hanno sempre maggiore influenza organi sovra-nazionali, spesso non democraticamente eletti.
In Wikipedia il termine Stato Nazione è definito come "uno stato costituito da una comune entità culturale e/o etnica omogenea". La versione inglese dell'enciclopedia della rete aggiunge alla comunanza di entità culturale e/o etnica, il fatto di essere un'entità politica e geopolitica. Ma ha ancora senos, in un mondo sempre più connesso, multiculturale e multietnico parlare di Stato-Nazione oggi? Che conseguenze ha questo a livello locale sulla vita di ogni individuo e delle singole comunità? Che conseguenze ha la crisi del concetto di Stato-Nazione sulla partecipazione democratica dei cittadini alla vita pubblica? Sono tutti quesiti a cui è difficile dare una risposta definitiva. Sono infatti questi alcuni degli oggetti di studio della sociologia e, come detto precedentemente, la sociologia non riesce a dare risposte definitive e certe. Uno dei più grandi sociologi della storia, Max Weber, diceva a chi voleva da lui delle previsioni su come sarebbe cambiata la società di rivolgersi ai maghi e non a lui che era uno scienziato (in realtà Weber, morto nel 1920, riuscì ad intravede l'avvento dei regimi totalitari fascista e nazista che sarebbero arrivati solo qualche anno più tardi). Ciò che è importante capire è che il concetto di Stato-Nazione non è un qualcosa di preesistente  ed assoluto. E' un'invenzione molto recente, legata agli eventi storici degli ultimi due secoli, ma che non trova corrispondenza nella storia precedente. Probabilmente se si chiedesse ai padri dei nostri nonni se si sentivano italiani, o tedeschi, o francesi, già troveremmo delle reazioni piuttosto tiepide (in generale naturalmente, poi ci sono le ovvie eccezioni che riguardano quelle persone maggiormente legati ad ideologie ed ideali particolari). Andare in guerra per difendere i confini nazionali per loro rappresentava un obbligo reale e quasi per niente morale.
A tal proposito vi propongo un esempio di come la storia stessa è stata sapientemente cambiata (o meglio adattata) per inculcare un concetto che nella realtà non esisteva. Ettore Fieramosca e la disfida di Barletta. Potremmo trovare personaggi come Ettore Fieramosca nella storia di tutti i principali paesi del mondo. Ettore Fieramosca era in primo luogo un mercenario che combatteva per denaro e per il mantenimento e la conquista  dei propri possedimenti nobiliari. Nulla di sbagliato naturalmente per i suoi tempi e probabilmente aveva anche lui dei nobili ideali per cui combattere. Solo durante il periodo risorgimentale la sua figura fu trasformata in quella che conosciamo oggi di eroe della nazione e di difensore dell'italianità. Ricordo in breve la sua storia: durante le contese tra i d'Angiò, francesi, e gli Aragona, spagnoli, per il possesso del dominio sul meridione d'Italia, Ettore Fieramosca combattè per gli spagnoli (ma anche per gli italiani come vuole la tradizione risorgimentale). Durante queste contese un cavaliere francese, Charles de Torgues, detto La Motte, accusò di codardia i cavalieri italiani che combattevano per conto del nemico spagnolo. Ettore Fieramosca si erse a paladino della patria ed il 13 febbraio 1503 tredici cavalieri italiani, guidati da Fieramosca, e altrettanti cavalieri francesi, guidati da La Motte, si scontrarono a duello nella famosa Disfida di Barletta. I cavalieri italiani vinsero la sfida restituendo l'onore perduto all'Italia, divisa e dominata da diverse dinastie, per lo più straniere.  In realtà questa storia fu ricostruita abilmente dal romanzo "Ettore Fieramosca" di Massimo D'Azeglio del 1833, in pieno risorgimento italiano. A questo romanzo seguirono alcune rielaborazioni cinematografiche. La prima nel 1915, durante la Prima Guerra Mondiale, con il giovane Regno dì'Italia che stava costruendosi una propria identità nazionale e che doveva convoncere le sue truppe a combattere per il re. La seconda nel 1938 in pieno regime fascista, con protagonista Gino Cervi (io ne ricordo una terza versione degli anni '70 con protagonista il "grande" Bud Spencer).
Probabilmente il buon Fieramosca fu mosso principalmente dal proprio orgoglio personale... "Nessuno può chiamarmi codardo" diceva Marty McFly, interpretato da Michael J. Fox, in Ritorno al Futuro :-) (nella versione inglese in realtà lo appellavano spesso con "pollo" come nello spezzone del secondo episodio della saga in basso).


Per terminare: Lo Stato-Nazione è come indicato in precedenza una pura invenzione del XIX secolo. Ciò non vuol dire che sia male o sia bene. E' stato sicuramente un'istituzione importante per tutto il XIX e XX secolo. Ha portato democrazia e libertà a molte persone. E' stato anche causa di guerre per astruse pretese di governo di "pezzi" di territorio (vedi la contesa oggi tra Ucraina e Russia per la Crimea). Ciò che è invece una conquista inalienabile è la PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA delle persone alla vita pubblica e politica. E' un'aspirazione umana da sempre. Anche nelle gerarchie dei villaggi del paleolitico o delle prime città con il neolitico. Era il sogno delle poleis dell'Antica Grecia, culla della civiltà occidentale. Questa partecipazione è però oggi messa in discussione proprio nel momento in cui la tecnologia ci offre gli strumenti più potenti che siano mai esistiti per collegare le persone e connetterle in un'unica infinita ed indefinita intelligenza collettiva.

Quali impatti potrebbe avere questa decisione?

http://www.corriere.it/tecnologia/14_marzo_15/internet-stati-uniti-pronti-cedere-controllo-domini-db6aaa9c-abcd-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml


Questa che sembra essere una decisione verso una maggiore democratizzazione dell'uso della Rete, potrebbe in realtà non esserlo. Le motivazioni di una tale discussione sono per lo più di natura economica. L'ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) nata nel 1988, è un ente internazionale no-profit che ha in mano la governance di Internet. Infatti ha l'incarico di gestire gli indirizzi IP ed il sistema dei nomi a dominio di primo livello (i Top-Level Domain, per semplificare i suffissi .com, .it, .eu, .net, etc.). L'ICANN ha ereditato le sue funzioni da altri enti, come lo IANA (Internet Assigned Numbers Authority), la maggior parte dei quali dipendenti dal governo degli Stati Uniti, ma nati e gestiti secondo gli ideali dei pionieri della rete Internet.  Bisogna quindi capire la deriva che l'ente prenderà: saranno ancora privilegiati i principi fondativi della rete Internet (condivisione, collaborazione, libertà di accesso, ...)?

Le scelte che saranno prese incideranno non solo sull'aspetto meramente politico ed economico, ma più in generale sulla vita sociale di ognuno e sul suo sviluppo. La democraticità dell'uso della Rete condiziona lo sviluppo sociale, e conseguentemente economico e di conoscenza, di individui, comunità, nazioni e popoli. E' quindi una decisione che dovrà essere presa con molta saggezza, raccogliendo l'eredità ed il sogno dei padri fondatori della rete e del WWW.