Intelligere. Spesso l’etimologia di un termine rivela gran
parte del suo significato. Intelligere è la parola latina che ha generato il
nostro termine “intelligenza”. È un termine che ritroviamo molto simile in
molte lingue europee: intelligence (uguale in inglese e francese), inteligencia,
Intelligenz.
Intelligere significa “capire”, ma nello steso tempo è la
composizione di altre due parole latine: “intus”, che significa dentro, e “legere”,
leggere. Quindi nell'antica Roma essere intelligenti significava capire,
leggere dentro alle cose, agli eventi, alle azioni, sapere interpretare. Possiamo
allora affermare che ci sono persone molto intelligenti ed altre meno? Per farlo dovremo essere in grado di capire
come “funziona” l’intelligenza… anticipo la risposta: nessuno è stato ancora in
grado esattamente come funziona e come si misura l’intelligenza.
Anche il
famigerato QI (quoziente di intelligenza) è un parametro abbastanza relativo e
non assoluto: dipende dalla cultura di chi ha ideato i test di QI e da cosa lui
intendeva per intelligenza. In passato per esempio, negli Stati uniti, sia
negli anni ’30 che alla fine degli anni ’60, sono emersi risultati che indicavano
che mediamente il QI fosse basso nelle popolazioni di colore rispetto a quello
delle popolazioni di origine europea, che a loro volta avevano un QI medio
inferiore rispetto a quello delle popolazioni asiatiche. Erano risultati
veritieri ed assoluti? Assolutamente no. Un semplice esempio per capirlo: se volessi
leggere una rivista scritta in cinese, anche essendo molto intelligente e con
un QI molto elevato, avrei probabilmente due difficoltà difficilmente
superabili: dovrei sapere interpretare gli ideogrammi cinesi (i sinogrammi) e
conoscere il cinese mandarino (il dialetto
più diffuso nella Repubblica Popolare Cinese). Potrei probabilmente essere
particolarmente dotato nell’imparare velocemente una lingua straniera, ma senza
un minimo di studio non sarei comunque in grado di leggere quella rivista, ma
dovrei limitarmi ad ammirare foto ed immagini. L’intelligenza ha quindi sicuramente
un carattere innato, ma anche un
carattere che si acquisisce culturalmente e che dipende dall’ambiente e dal
contesto in cui mi sono formato.
Noi homo sapiens sapiens siamo una specie estremamente
adattabile. Probabilmente la più adattabile tra le specie animale che abita il nostro pianeta. Se fossi cresciuto in un villaggio di pescatori, il mio
cervello si sarebbe sviluppato per rendere al meglio nel mio ambiente, quindi
avrei sviluppato un’ottima capacità di orientamento in mare, la capacità di
riconoscere correnti e venti, una manualità elevata nel mettere l’esca all’amo
e a lanciare la canna da pesca, … Nel mio villaggio potrei essere considerato
estremamente intelligente perché quando ritorno con la mia barca a riva porto
con me sempre una quanti di pescato considerevole: non sottoponetemi però ad un
test sul quoziente di intelligenza fatto da uno psicologo o un sociologo
occidentale! Probabilmente risulterei avere un QI molto basso. Se però fate
venire quello scienziato nel mio villaggio senza appropriate scorte alimentari,
statene sicuri, quella persona sarà assimilata allo scemo del villaggio!
La questione vera è che non esiste una intelligenza
assoluta, ma esistono varie intelligenze. Già dall’esame fisiologico del nostro
cervello ci si accorge che la sua parte principale, telencefalo, è suddivisa in
due emisferi: l'emisfero destro controlla i movimenti e riceve le sensazioni
del lato sinistro del corpo, mentre per l'altro emisfero vale il contrario. La
cosa più interessante venne scoperta però durante il XX secolo. Un gruppo di
scienziati, tra cui il premio nobel per la medicina Roger Sperry, hanno scoperto
che ogni lato del cervello non solo presiede a specifiche funzioni, ma è dotato
di una propria coscienza. L'emisfero sinistro controlla il linguaggio (cosa già
nota) ed in generale le funzioni che
riguardano l'aritmetica, l'analisi, la sintesi. L’emisfero destro è invece
prevalente nell’elaborare le funzioni di tipo creativo e visuo-spaziale (per
esempio leggere una mappa o riconoscere un volto).
Visto che i due lati del cervello presiedono in maniera
prevalente a funzioni diverse e controllano due lati diversi del nostro corpo,
ciò significa che anche il modo di “leggere dentro” (ricordate l’etimologia
della parla intelligenza?) il mondo dipende dalla nostra cultura, in
particolare per esempio del modo in cui leggiamo. Prima dell’avvento dell’alfabeto
greco, la scrittura procedeva da destra a sinistra. Con la diffusione dell’alfabeto
greco prima, e quello latino che deriva dal primo poi, in tutto il mondo occidentale,
è cambiato il modo di interpretare l’ambiente che ci circonda, ma anche il
nostro stesso modo di pensare. Leggere da sinistra a destra, significa che i
caratteri sono visti prima dall’occhio sinistro, quindi dall’emisfero destro
del cervello, quello creativo, poi da quello destro, controllato dall’emisfero
sinistro, quello logico-matematico. Ciò ha favorito la nascita nel mondo
occidentale della logica, dell’analisi e della sintesi. Non a caso i primi
grandi filosofi-scienziati della storia sono germogliati nell’antica Grecia
(Platone, Aristotele, Archimede, Pitagora, …). Ciò spiega anche come il modo di
interpretare il mondo sia diverso nel mondo asiatico (o meglio lo era, visto
che la globalizzazione fa sempre più appiattire le differenze). In estremo oriente
la lettura degli ideogrammi procede in senso verticale e non orizzontale: cosa
significa questo? Il campo visivo orizzontale è molto più ampio rispetto a
quello verticale, quindi in occidente si tende a far prevalere la visione di
insieme delle cose, mentre in oriente si ha una maggiore attenzione ai
dettagli. Questi semplici aspetti hanno influenzato l’intera cultura e di
conseguenza anche il modo di essere “intelligenti”.
Raymond Cattell, uno psicologo inglese, ci parla di due tipi
di intelligenza: fluida, quella che consente di affrontare e risolvere nuovi
problemi, e cristallizzata, costituita dalle competenze acquisite. Daniel
Goleman ha invece introdotto il concetto di "intelligenza emotiva" negli anni 90,
definendola come la conoscenza di se stessi l'empatia con gli altri, che influenzano notevolmente la nostra vita quotidiana
ma che non sono considerate nel calcolo
del QI. Infine Howard Gardner, estendendo quando indicato da Goleman individua addirittura
9 diverse manifestazioni dell’intelligenza umana: logico-matematica, linguistica,
spaziale, musicale, cinestetica o procedurale, interpersonale, intrapersonale,
naturalistica e infine esistenziale o teoretica.
Ma se l’intelligenza è frutto sia di doti personali, in gran
parte geneticamente ereditarie, sia da competenze acquisite dalla società, è
corretto parlare solo di intelligenza individuale?
Ad inizio secolo, prendendo
spunto dagli studi delle scienze naturali sulle api, si cominciò ad applicare
il concetto di Intelligenza Collettiva anche a noi uomini. Tra i pionieri di
questa idea c’è anche Douglas Engelbart, uno dei padri dell’informatica moderna
(il papà del mouse e dell’Open Source): in pratica si sostiene che l’intelligenza
è un patrimonio collettivo della specie umana da cui ogni individuo può
attingere, attraverso l’apprendimento o attraverso la genetica.
Oggi ci si pone un altro problema: nel continuo tentativo di
capire cos’è l’intelligenza e come funziona abbiamo cercato di imitarla e
ricrearla artificialmente. E’ questa quella che viene denominata Intelligenza Artificiale
ed è uno dei filoni di ricerca più attuali nell’informatica e nell’elettronica.
Recentemente sia Google che Facebook hanno acquisito aziende specializzate nella
ricerca sull’Intelligenza Artificiale (vedi post precedente). Il loro obiettivo
è quello di riuscire arrivare prima possibile a costruire pienamente il Web
3.0, il Web semantico in grado di dare significato alle nostre interazioni con
internet. Il filosofo francese Pierre Lévy sostiene che il fine più elevato di
Internet è proprio quello di essere di supporto all'intelligenza collettiva.
Levy dice che occorre riconoscere che
l'intelligenza è distribuita dovunque c'è umanità, e che può essere valorizzata
al massimo mediante le nuove tecnologie. Attraverso internet le persone possono comunicare, condividere la loro
conoscenza e collaborare. E’ questo
quindi il prossimo passo nell’evoluzione dell’intelligenza umana?
Volevo concludere con una personale definizione della
differenza tra web 1.0, 2.0 e 3.0. Oggi comunemente si parla di web 2.0 e 3.0
quando si parla di Social Networking: Facebook, Twitter, Google+, etc. Io mi permetto
di fare questa differenziazione. Il web 1.0 è quello delle origini inventato da
Tim Barners Lee. E’ uno strumento di comunicazione che risente ancora del
paradigma dei mass media, come TV e Radio: uno (1) tramette un contenuto e gli
altri lo ricevono passivamente, quindi web 1.0. E’ una pagina web che posso
scegliere di leggere o meno, così come un programma televisivo che posso
scegliere di vedere o di cambiare canale. Posso fruire di quei contenuti ma non
posso interagire, non posso fare niente (o quasi) per cambiarli. Il Web 2.0
sorge con le prime chat, i blog e raggiunge il suo apice con i social
networking: posso interagire, scambiare messaggi. E’ una comunicazione tra me
ed un’altra persona. Una comunicazione 1 a 1, ed anche quando il mio messaggio
è contemporaneamente condiviso con più persone è come se instaurassi tante
comunicazioni 1 a 1. I protagonisti di questa comunicazione sono quindi sempre
due (2), e da qui Web 2.0. L’individuo che comunica con altri individui. Alla
fine arriva il Web 3.0. E’ il web semantico, dotato di un’intelligenza propria,
in grado quella che già disponibile in molte consolle di videogioco: la realtà
aumentata, una realtà che si sovrappone e si sostituisce a quella materiale. La
comunicazione non è solo tra 2 persone, ma tra 2 persone e la rete, una terza entità
che da vita al Web 3.0. E’ in parte ciò che Derrick de Kerckhove definisce
Intelligenza Connettiva sviluppando l’idea di intelligenza collettiva di Levy.
In questa relazione di connessione però forse si intravede una terza entità
intelligente, la Rete, … sperando che non si tratti della Skynet di Terminator
o di Matrix.